Al concetto di pubblica amministrazione è tradizionalmente associato quello di burocrazia. Solo all’osservatore disattento, però, può sfuggire che l’intero sistema pubblica amministrazione ha subito una profonda trasformazione che ha interessato ogni aspetto del suo agire: dalla definizione degli ambiti di intervento alla loro suddivisione, dal rapporto tra politici ed amministratori alle modalità di organizzazione e gestione del personale. Alla determinazione di queste trasformazioni bisogna riconoscere che, nonostante l’innegabile presenza di spinte innovative dal basso – di cui l’adozione di forme di rendicontazione sociale è un esempio - hanno concorso principalmente pressioni top-down, legate alle riforme normative che si sono susseguite ad un ritmo incalzante dagli anni ’90 in poi, prefigurando in larga misura un modello di sviluppo rigido. Il processo evolutivo delle amministrazioni italiane non costituisce un caso isolato, al contrario, segue - con un certo ritardo - analoghi processi intrapresi dalla generalità dei paesi occidentali, che la dottrina internazionale ha inquadrato nel modello della nuova gestione delle amministrazioni pubbliche, il New Public Management. L’elemento più controverso del New Public Management, e su cui sembra più probabile si possano concentrare critiche e conflittualità future, è il deficit di democraticità che sembra emergere dalla separazione tra politica ed amministrazione. L’applicazione delle politiche di New Public Management crea, infatti, una classe di dirigenti e funzionari pubblici che operano con ampi spazi di discrezionalità. Il rapporto tra dirigenti pubblici e politici si svolge fondamentalmente in una condizione di asimmetria informativa che pone in una situazione di vantaggio i manager. Vi è quindi la concreta possibilità che i politici svolgano un’inefficace funzione di controllo sui tecnici incaricati della gestione, interrompendo così quella catena di legittimazione che proviene del corpo elettorale. Si evidenzia così il rischio che si crei una elite di manager professionisti che si troverebbero nelle condizioni di esercitare scelte politiche in assenza di un controllo elettorale, il che concreterebbe appunto una situazione di deficit democratico che, a ben guardare, tende a coincidere con lo sviluppo di una cultura di gestione autoreferenziale. La risposta a queste osservazioni, che appaiono tutt’altro che prive di fondamento, si trova nella configurazione di un complessivo sistema di programmazione e controllo di tipo sociale (o bilanciato), che integri il controllo direzionale e la comunicazione sociale. Questa modalità organizzativa, pur non essendo in grado di garantire l’eliminazione dei comportamenti opportunistici del management, permette tuttavia la creazione di un circolo virtuoso che trasla il baricentro del controllo verso gli utenti ed i cittadini. Le tecniche di gestione per obiettivi, basate su misure di tipo socio-professionale, consentono di superare la tradizionale autoreferenzialità delle amministrazioni, concentrate sulla gestione dei propri procedimenti, proiettando l’azione verso la soddisfazione delle nuove necessità emergenti dal corpo sociale. Non ci si può però ragionevolmente attendere che la mera applicazione di un sistema di gestione tipico del management d’impresa si riveli una panacea, in parte perché quando si tratta di operare su sistemi non deterministici come quelli sociali il rapporto causale tra strumento e risultato è mediato dal ruolo della cultura organizzativa, che non può essere cambiata (forse rivoluzionata) semplicemente attraverso il ricorso a tecnicismi manageriali. Un altro fattore non irrilevante è poi la considerazione che la strumentazione tecnica non può non tenere conto della diversità del contesto in cui è chiamata ad operare. Uno strumento nato e sviluppato nell’ambito del mercato, da aziende profit oriented, deve necessariamente passare attraverso un processo di esame critico, di adattamento al contesto delle aziende che operano al di fuori del mercato, prive di un orientamento al profitto. Nello specifico, la definizione degli obiettivi sconta la maggiore complessità intrinseca all’ambiente non profit rispetto quello d’impresa. In questo contesto, infatti, il livello di produzione allestito, al di là della sua difficile esprimibilità attraverso la misura monetaria, non è un buon indicatore dell’utilità creata, del valore (pubblico) creato. Per ottenere una stima del valore creato è necessario uscire dai confini organizzativi classici e proiettarsi all’esterno, in un processo di analisi e di confronto attivo con la comunità territoriale di riferimento. In altri termini l’accountability deve necessariamente divenire sociale, per una interna esigenza di orientamento strategico della gestione. Questo richiede lo sviluppo di un sistema di controllo direzionale esteso (o bilanciato) che deve interagire con la collettività. Si sviluppa cioè una necessità di comunicazione sociale soprattutto di tipo passivo, nel senso di orientata principalmente alla ricezione di informazioni, originarie e di feed-back, che si differenzia da quella di impresa, invece principalmente orientata alla diffusione attiva di informazioni sulle condizioni del processo produttivo. La necessità dello sviluppo di una accountability sociale, e la sua stretta connessione al processo di pianificazione strategica pubblica, costituisce il tema focale di questo lavoro. Nell’affrontare lo studio si percorre un itinerario logico che, prendendo le mosse dall’esame delle caratteristiche e dall’evoluzione della gestione pubblica, attraversa la definizione del concetto di accountability per arrivare ad esaminare il concetto di responsabilità politica, manageriale e del rapporto tra di esse, elaborando un modello di connessione operativa tra responsabilizzazione, controllo e forme di accountability nel contesto dell’amministrazione pubblica. Alla luce di questo modello si interpretano da un lato l’assetto dei controlli previsti nelle amministrazioni pubbliche, approfondendo il tema del rapporto tra politica e amministrazione, dall’altro i principali modelli di reporting sociale, osservando in che misura le varie impostazioni identificabili in letteratura siano integrabili in un complessivo sistema di gestione delle performance.

L’accountability nell’Ente pubblico locale. Nuove forme di responsabilità e rendicontazione

TIVAN, MORENO
2006-01-01

Abstract

Al concetto di pubblica amministrazione è tradizionalmente associato quello di burocrazia. Solo all’osservatore disattento, però, può sfuggire che l’intero sistema pubblica amministrazione ha subito una profonda trasformazione che ha interessato ogni aspetto del suo agire: dalla definizione degli ambiti di intervento alla loro suddivisione, dal rapporto tra politici ed amministratori alle modalità di organizzazione e gestione del personale. Alla determinazione di queste trasformazioni bisogna riconoscere che, nonostante l’innegabile presenza di spinte innovative dal basso – di cui l’adozione di forme di rendicontazione sociale è un esempio - hanno concorso principalmente pressioni top-down, legate alle riforme normative che si sono susseguite ad un ritmo incalzante dagli anni ’90 in poi, prefigurando in larga misura un modello di sviluppo rigido. Il processo evolutivo delle amministrazioni italiane non costituisce un caso isolato, al contrario, segue - con un certo ritardo - analoghi processi intrapresi dalla generalità dei paesi occidentali, che la dottrina internazionale ha inquadrato nel modello della nuova gestione delle amministrazioni pubbliche, il New Public Management. L’elemento più controverso del New Public Management, e su cui sembra più probabile si possano concentrare critiche e conflittualità future, è il deficit di democraticità che sembra emergere dalla separazione tra politica ed amministrazione. L’applicazione delle politiche di New Public Management crea, infatti, una classe di dirigenti e funzionari pubblici che operano con ampi spazi di discrezionalità. Il rapporto tra dirigenti pubblici e politici si svolge fondamentalmente in una condizione di asimmetria informativa che pone in una situazione di vantaggio i manager. Vi è quindi la concreta possibilità che i politici svolgano un’inefficace funzione di controllo sui tecnici incaricati della gestione, interrompendo così quella catena di legittimazione che proviene del corpo elettorale. Si evidenzia così il rischio che si crei una elite di manager professionisti che si troverebbero nelle condizioni di esercitare scelte politiche in assenza di un controllo elettorale, il che concreterebbe appunto una situazione di deficit democratico che, a ben guardare, tende a coincidere con lo sviluppo di una cultura di gestione autoreferenziale. La risposta a queste osservazioni, che appaiono tutt’altro che prive di fondamento, si trova nella configurazione di un complessivo sistema di programmazione e controllo di tipo sociale (o bilanciato), che integri il controllo direzionale e la comunicazione sociale. Questa modalità organizzativa, pur non essendo in grado di garantire l’eliminazione dei comportamenti opportunistici del management, permette tuttavia la creazione di un circolo virtuoso che trasla il baricentro del controllo verso gli utenti ed i cittadini. Le tecniche di gestione per obiettivi, basate su misure di tipo socio-professionale, consentono di superare la tradizionale autoreferenzialità delle amministrazioni, concentrate sulla gestione dei propri procedimenti, proiettando l’azione verso la soddisfazione delle nuove necessità emergenti dal corpo sociale. Non ci si può però ragionevolmente attendere che la mera applicazione di un sistema di gestione tipico del management d’impresa si riveli una panacea, in parte perché quando si tratta di operare su sistemi non deterministici come quelli sociali il rapporto causale tra strumento e risultato è mediato dal ruolo della cultura organizzativa, che non può essere cambiata (forse rivoluzionata) semplicemente attraverso il ricorso a tecnicismi manageriali. Un altro fattore non irrilevante è poi la considerazione che la strumentazione tecnica non può non tenere conto della diversità del contesto in cui è chiamata ad operare. Uno strumento nato e sviluppato nell’ambito del mercato, da aziende profit oriented, deve necessariamente passare attraverso un processo di esame critico, di adattamento al contesto delle aziende che operano al di fuori del mercato, prive di un orientamento al profitto. Nello specifico, la definizione degli obiettivi sconta la maggiore complessità intrinseca all’ambiente non profit rispetto quello d’impresa. In questo contesto, infatti, il livello di produzione allestito, al di là della sua difficile esprimibilità attraverso la misura monetaria, non è un buon indicatore dell’utilità creata, del valore (pubblico) creato. Per ottenere una stima del valore creato è necessario uscire dai confini organizzativi classici e proiettarsi all’esterno, in un processo di analisi e di confronto attivo con la comunità territoriale di riferimento. In altri termini l’accountability deve necessariamente divenire sociale, per una interna esigenza di orientamento strategico della gestione. Questo richiede lo sviluppo di un sistema di controllo direzionale esteso (o bilanciato) che deve interagire con la collettività. Si sviluppa cioè una necessità di comunicazione sociale soprattutto di tipo passivo, nel senso di orientata principalmente alla ricezione di informazioni, originarie e di feed-back, che si differenzia da quella di impresa, invece principalmente orientata alla diffusione attiva di informazioni sulle condizioni del processo produttivo. La necessità dello sviluppo di una accountability sociale, e la sua stretta connessione al processo di pianificazione strategica pubblica, costituisce il tema focale di questo lavoro. Nell’affrontare lo studio si percorre un itinerario logico che, prendendo le mosse dall’esame delle caratteristiche e dall’evoluzione della gestione pubblica, attraversa la definizione del concetto di accountability per arrivare ad esaminare il concetto di responsabilità politica, manageriale e del rapporto tra di esse, elaborando un modello di connessione operativa tra responsabilizzazione, controllo e forme di accountability nel contesto dell’amministrazione pubblica. Alla luce di questo modello si interpretano da un lato l’assetto dei controlli previsti nelle amministrazioni pubbliche, approfondendo il tema del rapporto tra politica e amministrazione, dall’altro i principali modelli di reporting sociale, osservando in che misura le varie impostazioni identificabili in letteratura siano integrabili in un complessivo sistema di gestione delle performance.
2006
9788860510013
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