L’introduzione progressiva, nell’arco di un trentennio, della formazione al servizio sociale nell’Università italiana, presenta a tutt’oggi molti elementi di criticità. Uno degli assetti formativi maggiormente problematici pare essere il tirocinio professionale. Le differenti coniugazioni attuative delle esperienze di tirocinio nei corsi di laurea di servizio sociale nel nostro Paese sono l’esito di diverse tradizioni locali, differenti logiche organizzative interne alle università e diversi obiettivi formativi, talvolta confusi e contraddittori: si va dall’idea del tirocinio come ricognizione esplorativa sul “mondo del lavoro”, all’ipotesi di tirocinio come “campo applicativo” delle teorie deduttivamente apprese in sede universitaria, oppure si prospetta una versione di “stage aziendale”, coerente con le più recenti esigenze del mercato, od ancora si prospettano altre versioni del tirocinio, attraverso cui la sede formativa azzarda nuove intese con il mondo della professione nella speranza di alleggerirsi di una parte almeno degli oneri organizzativi. Fare chiarezza sugli obiettivi da perseguire prima ancora che sulle traduzioni pratiche dell’esperienza formativa di tirocinio, si impone ormai come impegno ineludibile. L’argomentazione qui proposta ripercorre l’itinerario storico lungo il quale si è affermato il tirocinio professionale nella formazione di base degli assistenti sociali; se ne puntualizzano le valenze distintive da altre discipline professionali; se ne tratteggiano, da ultimo, le caratteristiche di spazio di organizzazione e negoziazione intersistemica tra Enti erogatori di servizi, entro cui i tirocinanti sono posti, l’Università, titolare dell’organizzazione formativa da cui prende avvio l’organizzazione stessa del tirocinio, e la comunità dei professionisti che si dispone a riprodursi nell’interazione con le nuove potenziali leve di professionisti.
Tirocinio tra mandato, competenze sul campo e nuova formazione dell'Assistente sociale
GUI, LUIGI
2009-01-01
Abstract
L’introduzione progressiva, nell’arco di un trentennio, della formazione al servizio sociale nell’Università italiana, presenta a tutt’oggi molti elementi di criticità. Uno degli assetti formativi maggiormente problematici pare essere il tirocinio professionale. Le differenti coniugazioni attuative delle esperienze di tirocinio nei corsi di laurea di servizio sociale nel nostro Paese sono l’esito di diverse tradizioni locali, differenti logiche organizzative interne alle università e diversi obiettivi formativi, talvolta confusi e contraddittori: si va dall’idea del tirocinio come ricognizione esplorativa sul “mondo del lavoro”, all’ipotesi di tirocinio come “campo applicativo” delle teorie deduttivamente apprese in sede universitaria, oppure si prospetta una versione di “stage aziendale”, coerente con le più recenti esigenze del mercato, od ancora si prospettano altre versioni del tirocinio, attraverso cui la sede formativa azzarda nuove intese con il mondo della professione nella speranza di alleggerirsi di una parte almeno degli oneri organizzativi. Fare chiarezza sugli obiettivi da perseguire prima ancora che sulle traduzioni pratiche dell’esperienza formativa di tirocinio, si impone ormai come impegno ineludibile. L’argomentazione qui proposta ripercorre l’itinerario storico lungo il quale si è affermato il tirocinio professionale nella formazione di base degli assistenti sociali; se ne puntualizzano le valenze distintive da altre discipline professionali; se ne tratteggiano, da ultimo, le caratteristiche di spazio di organizzazione e negoziazione intersistemica tra Enti erogatori di servizi, entro cui i tirocinanti sono posti, l’Università, titolare dell’organizzazione formativa da cui prende avvio l’organizzazione stessa del tirocinio, e la comunità dei professionisti che si dispone a riprodursi nell’interazione con le nuove potenziali leve di professionisti.Pubblicazioni consigliate
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