Nel diritto romano non è mancata, pur all’interno di un sistema processuale connotato dalla tipicità, una riflessione sul rimedio contrassegnato dal segno meno. Si tratta dell’azione negativa, azione nella quale l’attore non afferma che la cosa sia sua o che a lui competa qualche diritto reale sulla cosa di un altro. Al contrario, l’attore asserisce l’inesistenza di un diritto altrui, come un diritto di usufrutto o di servitù. Da qui la questione circa la legittimità di una azione che non si allinea, dal punto di vista formale, alla regola secondo cui è appunto necessario agire de suo non de alieno iure. In diritto romano si è distinto tra res corporales e res incorporales e si è ammessa l’azione negativa limitatamente alle seconde. Per le res corporales, e alle motivazioni circa la preclusione ad agire con l’actio negativa, occorre attingere alle Istituzioni di Giustiniano e soprattutto alla Parafrasi di Teofilo. In queste si legge che nell’azione negativa, con la quale chi si ritiene proprietario della cosa afferma che la medesima cosa non appartiene ad un altro, non viene in alcun modo in considerazione il diritto attoreo. Infatti, anche nel caso in cui si dovesse accertare che la cosa non sia del convenuto, non per questo dovremmo concludere che sia dell’attore, potendo appartenere ad un terzo. Dunque, la regola secondo cui de suo non de alieno iure agere oportet non può dirsi ottemperata. Non così invece per le res incorporales. Rispetto a queste, oltre ai già ricordati Giustiniano e Teofilo, anche Gaio, Ulpiano e Stefano informano della possibilità di agire con l’azione negativa. In questo caso, infatti, l’agire dell’attore, pur connotato dalla negazione di un diritto reale in capo al convenuto, finisce per rivelarsi difesa di un diritto proprio: sostenere che il convenuto non ha un diritto di usufrutto o di servitù sulla cosa, equivale ad asserire che la titolarità sulla cosa stessa è piena. In questo senso, concludono Teofilo e Stefano, l’azione negativa è in realtà una azione confessoria. Orbene, attraverso l’esperienza antica siamo posti direttamente di fronte alla regola assunta a criterio di giudizio dell’agire caratterizzato dal segno meno: de suo non de alieno iure quemque agere oportet, scrive Ulpiano. Ci sembra che questa riflessione, lungi dal rimanere confinata nel passato, suggerisca un criterio di cui anche i nostri moderni interpreti possano tener conto: l’abbandono, nella valutazione del rimedio in questione, di un approccio di tipo formale e l’adozione di un approccio di ordine sostanziale, attento a cogliere, sotto l’aspetto esteriore costituito dalla situazione giuridica del convenuto, l’esistenza di un diritto attoreo.

Azione atipica di accertamento negativo: l' 'actio negativa' e la regola 'de suo iure agere oportet'

FERRETTI, Paolo
2011-01-01

Abstract

Nel diritto romano non è mancata, pur all’interno di un sistema processuale connotato dalla tipicità, una riflessione sul rimedio contrassegnato dal segno meno. Si tratta dell’azione negativa, azione nella quale l’attore non afferma che la cosa sia sua o che a lui competa qualche diritto reale sulla cosa di un altro. Al contrario, l’attore asserisce l’inesistenza di un diritto altrui, come un diritto di usufrutto o di servitù. Da qui la questione circa la legittimità di una azione che non si allinea, dal punto di vista formale, alla regola secondo cui è appunto necessario agire de suo non de alieno iure. In diritto romano si è distinto tra res corporales e res incorporales e si è ammessa l’azione negativa limitatamente alle seconde. Per le res corporales, e alle motivazioni circa la preclusione ad agire con l’actio negativa, occorre attingere alle Istituzioni di Giustiniano e soprattutto alla Parafrasi di Teofilo. In queste si legge che nell’azione negativa, con la quale chi si ritiene proprietario della cosa afferma che la medesima cosa non appartiene ad un altro, non viene in alcun modo in considerazione il diritto attoreo. Infatti, anche nel caso in cui si dovesse accertare che la cosa non sia del convenuto, non per questo dovremmo concludere che sia dell’attore, potendo appartenere ad un terzo. Dunque, la regola secondo cui de suo non de alieno iure agere oportet non può dirsi ottemperata. Non così invece per le res incorporales. Rispetto a queste, oltre ai già ricordati Giustiniano e Teofilo, anche Gaio, Ulpiano e Stefano informano della possibilità di agire con l’azione negativa. In questo caso, infatti, l’agire dell’attore, pur connotato dalla negazione di un diritto reale in capo al convenuto, finisce per rivelarsi difesa di un diritto proprio: sostenere che il convenuto non ha un diritto di usufrutto o di servitù sulla cosa, equivale ad asserire che la titolarità sulla cosa stessa è piena. In questo senso, concludono Teofilo e Stefano, l’azione negativa è in realtà una azione confessoria. Orbene, attraverso l’esperienza antica siamo posti direttamente di fronte alla regola assunta a criterio di giudizio dell’agire caratterizzato dal segno meno: de suo non de alieno iure quemque agere oportet, scrive Ulpiano. Ci sembra che questa riflessione, lungi dal rimanere confinata nel passato, suggerisca un criterio di cui anche i nostri moderni interpreti possano tener conto: l’abbandono, nella valutazione del rimedio in questione, di un approccio di tipo formale e l’adozione di un approccio di ordine sostanziale, attento a cogliere, sotto l’aspetto esteriore costituito dalla situazione giuridica del convenuto, l’esistenza di un diritto attoreo.
2011
9788813308186
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