Nel 2012, con un atto di grande generosità la signora Mirella Schott Sbisà, vedova del pittore triestino Carlo Sbisà (Trieste, 1899-1964), decideva di donare a Casa Cavazzini, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine, i due grandi cartoni preparatori in scala 1:1 per gli affreschi che il marito aveva realizzato nel 1937 nella galleria Protti di Trieste, su commissione della direzione delle Assicurazioni Generali. I due enormi disegni a carboncino e gessetto bianco raffiguranti Il lavoro costruttivo e La ricreazione e lo svago, erano stati portati a compimento da Carlo Sbisà in funzione propedeutica al trasferimento sul muro delle due composizioni tuttora esistenti. Secondo una prassi consolidata, Sbisà in preparazione degli affreschi realizzava dei disegni a grandezza naturale estremamente rifiniti che poi ricalcava su carta più leggera per trasferire il disegno sul muro. Così facendo i due grandi cartoni, che Silvio Benco considerava «tra i più magistrali disegni che si facciano oggi in Italia»,  si sono conservati sino ad oggi. L’importanza di questa donazione era tale da meritare di essere valorizzata al meglio cogliendo l’occasione di un lavoro di ricerca e di studio che consentisse di riportare la figura di Carlo Sbisà nella sua corretta dimensione critica proprio in parallelo con la ricorrenza, nel 2014, del cinquantenario della morte. La presenza a Casa Cavazzini di uno dei più famosi cicli di decorazione murale portati a termine da Afro Basaldella (Udine, 1912 – Zurigo 1976) nel 1938 ha suggerito di estendere l’indagine anche alla personalità del pittore friulano la cui vicenda giovanile rimane specialmente legata al contesto della provincia udinese. Proprio in città, qualche anno prima, l’architetto Ermes Midena lo aveva interpellato, tra gli altri, per decorare alcuni ambienti del Collegio Magistrale dell’Opera Balilla a Udine (poi GIL e oggi Scuola Media “E. Fermi”). Al giovane e talentuoso pittore friulano era stata affidata l’ornamentazione dell’atrio d’ingresso con soggetti ispirati all’importanza dell’educazione fisica, scientifica e morale secondo gli intendimenti del Regime. Le tempere murali portate a compimento, vennero scialbate subito dopo l’inaugurazione perché ritenute inadeguate al loro scopo e solo un difficile intervento di restauro, concluso nel 1989, poté riportarne in luce ampi brani tuttora in loco. Si è pensato che i due episodi ornamentali e le loro sorti diametralmente opposte potessero riportare l’attenzione della critica e del grande pubblico sulla pittura a destinazione pubblica negli anni Trenta in Friuli Venezia Giulia, mettendo in evidenza le differenti interpretazioni che a livello regionale furono offerte alle sollecitazioni ideali imposte dal Fascismo e fatte proprie, anche localmente, dagli artisti aderenti o meno al movimento di Novecento italiano. Se Carlo Sbisà può esserne considerato uno dei protagonisti, non solo a Trieste ma anche a livello nazionale, Afro Basaldella si presenta piuttosto come un esponente di spicco di quella corrente che propose soluzioni stilistiche alternative, sortite dall’esperienza della Scuola romana e dal riferimento alla tradizione pittorica del passato. Partendo dalla documentazione inerente i cicli decorativi portati a termine dai due artisti in regione e altrove si è presa in esame la questione della grande decorazione nel Friuli Venezia Giulia nel corso degli anni Trenta, sulla scia del dibattito nazionale apertosi nel 1933 alla V Triennale di Milano. Ai cartoni, agli schizzi e ai disegni preparatori veri e propri predisposti da Carlo Sbisà e Afro, sono state affiancate le riproduzioni fotografiche d’epoca dei lavori a qualche titolo riferibili alla pittura di destinazione pubblica, nonché una selezione di dipinti da cavalletto della stessa epoca che permetta di offrire al pubblico un’idea complessiva della produzione dei due pittori nel medesimo torno di tempo. Grazie al materiale rintracciato in questa circostanza, inoltre, è stato possibile ricostruire con maggiore precisione anche le diverse fasi preparatorie del grande mosaico raffigurante Le attività umane e sociali che Afro avrebbe dovuto realizzare per l’atrio posteriore del Palazzo dei Congressi presso l’E 42 a Roma, opera che non fu mai portata a termine, ma che rappresenta per l’artista il momento culminante del suo impegno nell’ambito della decorazione murale.

Afro Basaldella e Carlo Sbisà: l'elegia del quotidiano. La decorazione murale negli anni trenta

DEGRASSI, MASSIMO;
2013-01-01

Abstract

Nel 2012, con un atto di grande generosità la signora Mirella Schott Sbisà, vedova del pittore triestino Carlo Sbisà (Trieste, 1899-1964), decideva di donare a Casa Cavazzini, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine, i due grandi cartoni preparatori in scala 1:1 per gli affreschi che il marito aveva realizzato nel 1937 nella galleria Protti di Trieste, su commissione della direzione delle Assicurazioni Generali. I due enormi disegni a carboncino e gessetto bianco raffiguranti Il lavoro costruttivo e La ricreazione e lo svago, erano stati portati a compimento da Carlo Sbisà in funzione propedeutica al trasferimento sul muro delle due composizioni tuttora esistenti. Secondo una prassi consolidata, Sbisà in preparazione degli affreschi realizzava dei disegni a grandezza naturale estremamente rifiniti che poi ricalcava su carta più leggera per trasferire il disegno sul muro. Così facendo i due grandi cartoni, che Silvio Benco considerava «tra i più magistrali disegni che si facciano oggi in Italia»,  si sono conservati sino ad oggi. L’importanza di questa donazione era tale da meritare di essere valorizzata al meglio cogliendo l’occasione di un lavoro di ricerca e di studio che consentisse di riportare la figura di Carlo Sbisà nella sua corretta dimensione critica proprio in parallelo con la ricorrenza, nel 2014, del cinquantenario della morte. La presenza a Casa Cavazzini di uno dei più famosi cicli di decorazione murale portati a termine da Afro Basaldella (Udine, 1912 – Zurigo 1976) nel 1938 ha suggerito di estendere l’indagine anche alla personalità del pittore friulano la cui vicenda giovanile rimane specialmente legata al contesto della provincia udinese. Proprio in città, qualche anno prima, l’architetto Ermes Midena lo aveva interpellato, tra gli altri, per decorare alcuni ambienti del Collegio Magistrale dell’Opera Balilla a Udine (poi GIL e oggi Scuola Media “E. Fermi”). Al giovane e talentuoso pittore friulano era stata affidata l’ornamentazione dell’atrio d’ingresso con soggetti ispirati all’importanza dell’educazione fisica, scientifica e morale secondo gli intendimenti del Regime. Le tempere murali portate a compimento, vennero scialbate subito dopo l’inaugurazione perché ritenute inadeguate al loro scopo e solo un difficile intervento di restauro, concluso nel 1989, poté riportarne in luce ampi brani tuttora in loco. Si è pensato che i due episodi ornamentali e le loro sorti diametralmente opposte potessero riportare l’attenzione della critica e del grande pubblico sulla pittura a destinazione pubblica negli anni Trenta in Friuli Venezia Giulia, mettendo in evidenza le differenti interpretazioni che a livello regionale furono offerte alle sollecitazioni ideali imposte dal Fascismo e fatte proprie, anche localmente, dagli artisti aderenti o meno al movimento di Novecento italiano. Se Carlo Sbisà può esserne considerato uno dei protagonisti, non solo a Trieste ma anche a livello nazionale, Afro Basaldella si presenta piuttosto come un esponente di spicco di quella corrente che propose soluzioni stilistiche alternative, sortite dall’esperienza della Scuola romana e dal riferimento alla tradizione pittorica del passato. Partendo dalla documentazione inerente i cicli decorativi portati a termine dai due artisti in regione e altrove si è presa in esame la questione della grande decorazione nel Friuli Venezia Giulia nel corso degli anni Trenta, sulla scia del dibattito nazionale apertosi nel 1933 alla V Triennale di Milano. Ai cartoni, agli schizzi e ai disegni preparatori veri e propri predisposti da Carlo Sbisà e Afro, sono state affiancate le riproduzioni fotografiche d’epoca dei lavori a qualche titolo riferibili alla pittura di destinazione pubblica, nonché una selezione di dipinti da cavalletto della stessa epoca che permetta di offrire al pubblico un’idea complessiva della produzione dei due pittori nel medesimo torno di tempo. Grazie al materiale rintracciato in questa circostanza, inoltre, è stato possibile ricostruire con maggiore precisione anche le diverse fasi preparatorie del grande mosaico raffigurante Le attività umane e sociali che Afro avrebbe dovuto realizzare per l’atrio posteriore del Palazzo dei Congressi presso l’E 42 a Roma, opera che non fu mai portata a termine, ma che rappresenta per l’artista il momento culminante del suo impegno nell’ambito della decorazione murale.
2013
9788895752143
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