INTRODUZIONE La terapia con bifosfanati nel management dell’osteogenesi imperfetta è un dato ormai assodato e largamente riportato nella letteratura scientifica. Nello specifico, questi farmaci vengono utilizzati per la loro capacità di: - aumentare la densità ossea - diminuire il rischio di fratture largamente associato a questa malattia - diminuire l’entità del dolore osseo - diminuire l’attività osteoclastica con conseguente aumento dello spessore della corticale e del volume trasecolare. Il loro meccanismo d’azione prevede l’inibizione del riassorbimento del tessuto osseo da parte degli osteoclasti con un aumento del volume osseo sia corticale, sia trabecolare. La metabolizzazione di questi farmaci è quasi nulla, essi pertanto permangono nell’osso per un periodo di tempo lunghissimo. Sono classificati, in base alla loro struttura, in Non-amino bifosfonati (acido etidronico,acido clodronico,acido tiludronico) ed Amino bifosfonati (acido alendronico, acido pamidronico,acido risedronico,acido zoledronico). I primi vengono metabolizzati nelle cellule in composti citotossici, i secondi sono caratterizzati da una maggior potenza nell’inibizione del riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti. Tra i loro effetti collaterali quali diarrea, nausea, vomito, dolori addominali ed infiammazione e possibile erosione della mucosa esofagea, se ne conoscono anche di pertinenza odontoiatrica. Il più temuto è sicuramente l’osteonecrosi mandibolare (incidenza dall’0.8% al 12%) soprattutto in seguito a terapia endovenosa e in associazione spesso con traumatismi quali interventi chirurgici o estrattivi. Esistono, seppur in forme più lievi e tollerabili, anche degli effetti a livello ortodontico. Il trattamento ortodontico in pazienti trattati con bifosfonati risulta spesso più lungo in quanto vi è un progressivo rallentamento nel movimento degli elementi dentari che, tuttavia, risultano maggiormente mobili. Inoltre è stato evidenziato che denti sottoposti a trattamento ortodontico in questi pazienti risultano successivamente più difficili da spostare in un eventuale ritrattamento. Radiograficamente si osservano aree di sclerosi intorno alle radici degli elementi dentari, il legamento parodontale può apparire oscurato o si può presentare un allargamento dello spazio dello stesso (ciò può dipendere dalla concomitanza di fattori traumatici, batterici o dalle normali variazioni dell’anatomia ossea). Un fattore che influenza particolarmente questi effetti collaterali che interessano il trattamento ortodontico è sicuramente il timing della terapia con i bifosfonati.E’ stato visto che intervalli di tempo tra un ciclo di somministrazione ed un altro migliora notevolmente il decorso e la riuscita del trattamento ortodontico. MATERIALI E METODI L’osteogenesi imperfetta è una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante in cui mutazioni dei geni Coll A1 e 2 provocano alterazioni nella sintesi del collagene di tipo I. Da tali mutazioni scaturiscono problemi a carico dell’intero apparato muscolo-scheletrico con coinvolgimento delle articolazioni, delle cartilagini, anomalie nello sviluppo dentario (dentinogenesi imperfetta) ed alterazioni cutanee. Si conoscono quattro forme di osteogenesi imperfetta classificate in base alla gravità dei segni e dei sontomi: - tipo I: ritardo di accrescimento nel 50%, fratture ossee; cifosi e scoliosi con iperestesibilità articolare, sclere bluastre e perdita dell'udito sia a difetto neurosensoriale che a causa di anomalie ossee dell'orecchio medio e interno. In certi casi si associa a dentinogenesi imperfetta. - tipo II: è costantemente fatale durante la vita intrauterina o nel periodo perinatale. Accentuatissima fragilità ossea con fratture multiple che si manifestano quando il feto è ancora in utero. - tipo III: fratture alla nascita con deformazioni progressive degli arti e cifoscoliosi, ipostaturalità, dentinogenesi imperfetta comune. - tipo IV: clinicamente meno grave, con statura normale o poco ridotta, fragilità ossea lieve o moderata, fratture postnatali, sclere ed udito normali. In certi casi si associa a dentinogenesi imperfetta. Nel caso da noi riportato, il paziente, oggi ventenne, era stato curato all’età di 8 anni con Pamidronato e.v. per 1 anno e 6 mesi. La terapia era poi stata interrotta all’età di quasi 10 anni. La scelta del Pamidronato, concordemente ai dati presenti in letteratura, era stata adottata per diminuire l’intensità dei dolori scheletrici oltre che per minimizzare il rischio di fratture e incrementare il volume osseo. Al momento della prima visita presso il nostro reparto di ortodonzia il paziente presentava un affollamento dentario inferiore con disallineamento dei frontali superiori in un quadro di I classe canina e molare con cross bite di 16 e 46. Linea mediana decentrata, assenza di abitudini viziate o parafunzioni. Era richiesto un semplice allineamento dentario e risoluzione del cross con conseguente aggiustamento della linea mediana. L’igiene orale era buona, non vi erano segni di gengivite marginale. Il tessuto dentario appariva carente a causa della dentinogenesi imperfetta associata al quadro patologico primario. Non vi erano agenesie. Dall’esame ortopantomografico risultava un ispessimento della lamina dura soprattutto negli elementi mandibolari. Questi settori sono stati poi indagati con radiografie endorali più precise che confermavano l’aumento della densità ossea corticale. E’ stata applicata un’apparecchiatura multibrackets con bande sui quattro primi molari, secondo tecnica Roth. Le fasi iniziali del trattamento (primi 3 mesi) sono state caratterizzate da una lenta risposta che ci ha indotti ad un controllo radiografico dei settori 33-36 e 13-16 (scelti come siti controllo). Dalle radiografie si è osservato un modesto ispessimento della lamina dura verosimilmente responsabile del rallentamento nel movimento. In seguito tale rallentamento è progressivamente diminuito, ma non si è mai azzerato. Abbiamo potuto osservare infatti un diminuito tasso di rimodellamento osseo rispetto a quello riscontrabile in pazienti sani della stessa età sottoposti a trattamento ortodontico. Non abbiamo reperti che avvalorino la tesi del prolungamento nei tempi della guarigione ossea, come riportato in alcuni lavori della letteratura riguardanti soggetti affetti da osteogenesi imperfetta, in quanto il nostro paziente non ha subito interventi chirurgici estrattivi. L’intero trattamento ortodontico si è concluso dopo 13 mesi dall’applicazione della meccanica. Per arginare i potenziali rischi di una contenzione rigida in resina o in filo metallico, è stata adottata una contenzione attiva mediante positioner di silicone senza set-up che il paziente ha portato per 18 ore al giorno per i primi 3 mesi dalla rimozione della meccanica e porta tuttora solo nelle ore notturne. Effettuiamo controlli clinici bimestrali della contenzione e, ogni 6 mesi, controlli radiografici (radiografie endorali nei siti controllo). Dai primi due controlli radiografici si evidenzia un ispessimento della zona della lamina dura con scomparsa in alcuni siti dell’area del legamento. DISCUSSIONE Normalmente il trattamento ortodontico di allineamento in un giovane paziente collaborante non comporta difficoltà di gestione né una tempistica lunga. E’indubbio che nel caso qui riportato, le condizioni del paziente abbiano richiesto una particolare attenzione nel controllo della meccanica e frequenti controlli volti a minimizzare i rischi plausibili in una paziente con una storia clinica come questa. Durante tutto il corso della terapia ci siamo avvalsi di tutti i dati sia clinici sia radiografici per indagare eventuali cambiamenti clinici o segni di qualsiasi genere che giustificassero un’interruzione del trattamento. Essa non si è resa necessaria, ma i controlli a distanza sapranno rendere ragione di eventuali effetti negativi o fallimenti del nostro trattamento. CONCLUSIONI Nell’affrontare questo caso ci siamo trovati di fronte ad un quadro clinico di apparente salute in quanto la patologia primaria del paziente era controllata ormai da molto tempo e egli stesso era ormai abituato a far fronte ad eventuali problemi o agli effetti secondari. Dalla letteratura che abbiamo preso in esame al momento di trattare il giovane, i dati erano concordi sul fatto che i benefici della terapia con pamidronato fossero da ricercarsi nell’aumento della densità ossea e nella riduzione dell’attività osteoclastica con conseguente incremento del volume e dello spessore ossei. Ciò è sicuramente un dato positivo se si affronta il quadro dell’osteogenesi imperfetta, risulta però meno favorevole se si vuole portare a termine un trattamento ortodontico. Non abbiamo trovato una quantità di dati significativa in questo senso, né che fornissero realistici risultati del controllo a distanza di anni di pazienti come la nostra. Siamo fiduciosi che il caso da noi presentato possa produrre controlli e dati nel corso del tempo così da fornire ulteriori prove e risultati riguardo alla terapia con bifosfonati in pazienti affetti da osteogenesi imperfetta.

Trattamento ortodontico in una paziente curata con bifosfonati in un quadro di osteogenesi imperfetta

DALESSANDRI, DOMENICO;
2010-01-01

Abstract

INTRODUZIONE La terapia con bifosfanati nel management dell’osteogenesi imperfetta è un dato ormai assodato e largamente riportato nella letteratura scientifica. Nello specifico, questi farmaci vengono utilizzati per la loro capacità di: - aumentare la densità ossea - diminuire il rischio di fratture largamente associato a questa malattia - diminuire l’entità del dolore osseo - diminuire l’attività osteoclastica con conseguente aumento dello spessore della corticale e del volume trasecolare. Il loro meccanismo d’azione prevede l’inibizione del riassorbimento del tessuto osseo da parte degli osteoclasti con un aumento del volume osseo sia corticale, sia trabecolare. La metabolizzazione di questi farmaci è quasi nulla, essi pertanto permangono nell’osso per un periodo di tempo lunghissimo. Sono classificati, in base alla loro struttura, in Non-amino bifosfonati (acido etidronico,acido clodronico,acido tiludronico) ed Amino bifosfonati (acido alendronico, acido pamidronico,acido risedronico,acido zoledronico). I primi vengono metabolizzati nelle cellule in composti citotossici, i secondi sono caratterizzati da una maggior potenza nell’inibizione del riassorbimento osseo mediato dagli osteoclasti. Tra i loro effetti collaterali quali diarrea, nausea, vomito, dolori addominali ed infiammazione e possibile erosione della mucosa esofagea, se ne conoscono anche di pertinenza odontoiatrica. Il più temuto è sicuramente l’osteonecrosi mandibolare (incidenza dall’0.8% al 12%) soprattutto in seguito a terapia endovenosa e in associazione spesso con traumatismi quali interventi chirurgici o estrattivi. Esistono, seppur in forme più lievi e tollerabili, anche degli effetti a livello ortodontico. Il trattamento ortodontico in pazienti trattati con bifosfonati risulta spesso più lungo in quanto vi è un progressivo rallentamento nel movimento degli elementi dentari che, tuttavia, risultano maggiormente mobili. Inoltre è stato evidenziato che denti sottoposti a trattamento ortodontico in questi pazienti risultano successivamente più difficili da spostare in un eventuale ritrattamento. Radiograficamente si osservano aree di sclerosi intorno alle radici degli elementi dentari, il legamento parodontale può apparire oscurato o si può presentare un allargamento dello spazio dello stesso (ciò può dipendere dalla concomitanza di fattori traumatici, batterici o dalle normali variazioni dell’anatomia ossea). Un fattore che influenza particolarmente questi effetti collaterali che interessano il trattamento ortodontico è sicuramente il timing della terapia con i bifosfonati.E’ stato visto che intervalli di tempo tra un ciclo di somministrazione ed un altro migliora notevolmente il decorso e la riuscita del trattamento ortodontico. MATERIALI E METODI L’osteogenesi imperfetta è una malattia genetica a trasmissione autosomica dominante in cui mutazioni dei geni Coll A1 e 2 provocano alterazioni nella sintesi del collagene di tipo I. Da tali mutazioni scaturiscono problemi a carico dell’intero apparato muscolo-scheletrico con coinvolgimento delle articolazioni, delle cartilagini, anomalie nello sviluppo dentario (dentinogenesi imperfetta) ed alterazioni cutanee. Si conoscono quattro forme di osteogenesi imperfetta classificate in base alla gravità dei segni e dei sontomi: - tipo I: ritardo di accrescimento nel 50%, fratture ossee; cifosi e scoliosi con iperestesibilità articolare, sclere bluastre e perdita dell'udito sia a difetto neurosensoriale che a causa di anomalie ossee dell'orecchio medio e interno. In certi casi si associa a dentinogenesi imperfetta. - tipo II: è costantemente fatale durante la vita intrauterina o nel periodo perinatale. Accentuatissima fragilità ossea con fratture multiple che si manifestano quando il feto è ancora in utero. - tipo III: fratture alla nascita con deformazioni progressive degli arti e cifoscoliosi, ipostaturalità, dentinogenesi imperfetta comune. - tipo IV: clinicamente meno grave, con statura normale o poco ridotta, fragilità ossea lieve o moderata, fratture postnatali, sclere ed udito normali. In certi casi si associa a dentinogenesi imperfetta. Nel caso da noi riportato, il paziente, oggi ventenne, era stato curato all’età di 8 anni con Pamidronato e.v. per 1 anno e 6 mesi. La terapia era poi stata interrotta all’età di quasi 10 anni. La scelta del Pamidronato, concordemente ai dati presenti in letteratura, era stata adottata per diminuire l’intensità dei dolori scheletrici oltre che per minimizzare il rischio di fratture e incrementare il volume osseo. Al momento della prima visita presso il nostro reparto di ortodonzia il paziente presentava un affollamento dentario inferiore con disallineamento dei frontali superiori in un quadro di I classe canina e molare con cross bite di 16 e 46. Linea mediana decentrata, assenza di abitudini viziate o parafunzioni. Era richiesto un semplice allineamento dentario e risoluzione del cross con conseguente aggiustamento della linea mediana. L’igiene orale era buona, non vi erano segni di gengivite marginale. Il tessuto dentario appariva carente a causa della dentinogenesi imperfetta associata al quadro patologico primario. Non vi erano agenesie. Dall’esame ortopantomografico risultava un ispessimento della lamina dura soprattutto negli elementi mandibolari. Questi settori sono stati poi indagati con radiografie endorali più precise che confermavano l’aumento della densità ossea corticale. E’ stata applicata un’apparecchiatura multibrackets con bande sui quattro primi molari, secondo tecnica Roth. Le fasi iniziali del trattamento (primi 3 mesi) sono state caratterizzate da una lenta risposta che ci ha indotti ad un controllo radiografico dei settori 33-36 e 13-16 (scelti come siti controllo). Dalle radiografie si è osservato un modesto ispessimento della lamina dura verosimilmente responsabile del rallentamento nel movimento. In seguito tale rallentamento è progressivamente diminuito, ma non si è mai azzerato. Abbiamo potuto osservare infatti un diminuito tasso di rimodellamento osseo rispetto a quello riscontrabile in pazienti sani della stessa età sottoposti a trattamento ortodontico. Non abbiamo reperti che avvalorino la tesi del prolungamento nei tempi della guarigione ossea, come riportato in alcuni lavori della letteratura riguardanti soggetti affetti da osteogenesi imperfetta, in quanto il nostro paziente non ha subito interventi chirurgici estrattivi. L’intero trattamento ortodontico si è concluso dopo 13 mesi dall’applicazione della meccanica. Per arginare i potenziali rischi di una contenzione rigida in resina o in filo metallico, è stata adottata una contenzione attiva mediante positioner di silicone senza set-up che il paziente ha portato per 18 ore al giorno per i primi 3 mesi dalla rimozione della meccanica e porta tuttora solo nelle ore notturne. Effettuiamo controlli clinici bimestrali della contenzione e, ogni 6 mesi, controlli radiografici (radiografie endorali nei siti controllo). Dai primi due controlli radiografici si evidenzia un ispessimento della zona della lamina dura con scomparsa in alcuni siti dell’area del legamento. DISCUSSIONE Normalmente il trattamento ortodontico di allineamento in un giovane paziente collaborante non comporta difficoltà di gestione né una tempistica lunga. E’indubbio che nel caso qui riportato, le condizioni del paziente abbiano richiesto una particolare attenzione nel controllo della meccanica e frequenti controlli volti a minimizzare i rischi plausibili in una paziente con una storia clinica come questa. Durante tutto il corso della terapia ci siamo avvalsi di tutti i dati sia clinici sia radiografici per indagare eventuali cambiamenti clinici o segni di qualsiasi genere che giustificassero un’interruzione del trattamento. Essa non si è resa necessaria, ma i controlli a distanza sapranno rendere ragione di eventuali effetti negativi o fallimenti del nostro trattamento. CONCLUSIONI Nell’affrontare questo caso ci siamo trovati di fronte ad un quadro clinico di apparente salute in quanto la patologia primaria del paziente era controllata ormai da molto tempo e egli stesso era ormai abituato a far fronte ad eventuali problemi o agli effetti secondari. Dalla letteratura che abbiamo preso in esame al momento di trattare il giovane, i dati erano concordi sul fatto che i benefici della terapia con pamidronato fossero da ricercarsi nell’aumento della densità ossea e nella riduzione dell’attività osteoclastica con conseguente incremento del volume e dello spessore ossei. Ciò è sicuramente un dato positivo se si affronta il quadro dell’osteogenesi imperfetta, risulta però meno favorevole se si vuole portare a termine un trattamento ortodontico. Non abbiamo trovato una quantità di dati significativa in questo senso, né che fornissero realistici risultati del controllo a distanza di anni di pazienti come la nostra. Siamo fiduciosi che il caso da noi presentato possa produrre controlli e dati nel corso del tempo così da fornire ulteriori prove e risultati riguardo alla terapia con bifosfonati in pazienti affetti da osteogenesi imperfetta.
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