La colonna: Come l’elemento preminente della rappresentazione può variare e trasformarsi fino a raggiungere aspetti inquietanti. In generale la variazione è la modificazione apportata a qualcosa di prestabilito o consueto; un concetto, per certi versi, molto vicino a quello di trasformazione che é appunto il cambiamento più o meno vistoso di forma. Il modificare l’elemento, lasciando inalterata la riconoscibilità dell’archetipo di riferimento, fa sì che in architettura il concetto di variazione non si discosti da quello musicale, basti solo pensare alla colonna ed alle sue infinite variazioni nel corso del tempo. Il trasformare l’esistente, tuttavia, é cosa diversa dal variare l’elemento, ciononostante anche il variare forse a volte tende alla metamorfosi. C’è ad esempio il progetto di Adolf Loos per la nuova sede del Chicago Tribune del 1922, dove la colonna, come può accadere solo nei racconti di fantasia, diventa uno splendido grattacielo di quattrocento piedi. Prima, però, c’era stata la Colonne Detruite, un abitazione a forma di rudere di colonna realizzata in un parco nei dintorni di Parigi alla fine del ‘700. Negli anni ‘20, poi, Arduino Berlam, pone una luce su di una gigantesca colonna, realizzando a Trieste il Faro della Vittoria che diverrà ben presto uno dei simboli più autorevoli della Città. La colonna, dunque, varia, si deforma e s’ingigantisce e si trasforma, tuttavia può accadere che pur rimanendo formalmente invariata può raggiungere a volte quegli aspetti paradossali o inquietanti che ci riconducono inesorabilmente alla metamorfosi. Cosa accade, infatti, quando al posto di una statua, in cima ad una colonna vi é un essere umano in carne ed ossa? L’uomo che trasforma la colonna nella propria dimora non può che suscitare stupore e meraviglia. Se poi, in una sorta di apoteosi della metamorfosi tra l’uomo e l’elemento architettonico, l’essere umano arriva al punto da diventare egli stesso parte della colonna in un’immagine di rara bellezza simbolica, quest’uomo non può essere che un santo. C’è San Simeone lo Stilita che dal 423, per immolare la propria anima al Signore, visse per quasi quarant’anni in cima a una colonna nel deserto siriano e, in una lenta metamorfosi, l’uomo e la colonna diventano così una sola cosa. Infatti, Simeone per offrirsi a Dio, finisce per diventare parte inalienabile della colonna sulla quale ha deciso di vivere e con la quale si identificherà indissolubilmente. L’antropomorfismo dell’elemento architettonico è un’idea che parte dagli antichi Greci e da Vitruvio, che viene poi ripresa da Cesare Cesariano, il quale sostiene che le colonne rappresentano delle matrone; da Hugues Sambin, e in particolar modo da Francesco di Giorgio, secondo il quale le colonne nasconderebbero corpi umani. Anche la stessa iconografia sacra, relativa al fenomeno degli stiliti, come si può rilevare dalle poche immagini pervenuteci, si muove ancora intorno a questo tipo di rappresentazione, in quanto, i diversi stiliti vengono sempre raffigurati con il corpo immerso nella colonna fino ai fianchi; tuttavia, non ci è dato di sapere se vi sia un legame consapevole fra questo tipo di rappresentazioni e le figure antropomorfiche delle colonne presenti nei diversi trattati di architettura.

La Colonna: Come l'elemento preminente della rappresentazione può variare e trasformarsi fino a raggiungere gli aspetti più inquietanti della metamorfosi.

GUARAGNA, GIANFRANCO
2014-01-01

Abstract

La colonna: Come l’elemento preminente della rappresentazione può variare e trasformarsi fino a raggiungere aspetti inquietanti. In generale la variazione è la modificazione apportata a qualcosa di prestabilito o consueto; un concetto, per certi versi, molto vicino a quello di trasformazione che é appunto il cambiamento più o meno vistoso di forma. Il modificare l’elemento, lasciando inalterata la riconoscibilità dell’archetipo di riferimento, fa sì che in architettura il concetto di variazione non si discosti da quello musicale, basti solo pensare alla colonna ed alle sue infinite variazioni nel corso del tempo. Il trasformare l’esistente, tuttavia, é cosa diversa dal variare l’elemento, ciononostante anche il variare forse a volte tende alla metamorfosi. C’è ad esempio il progetto di Adolf Loos per la nuova sede del Chicago Tribune del 1922, dove la colonna, come può accadere solo nei racconti di fantasia, diventa uno splendido grattacielo di quattrocento piedi. Prima, però, c’era stata la Colonne Detruite, un abitazione a forma di rudere di colonna realizzata in un parco nei dintorni di Parigi alla fine del ‘700. Negli anni ‘20, poi, Arduino Berlam, pone una luce su di una gigantesca colonna, realizzando a Trieste il Faro della Vittoria che diverrà ben presto uno dei simboli più autorevoli della Città. La colonna, dunque, varia, si deforma e s’ingigantisce e si trasforma, tuttavia può accadere che pur rimanendo formalmente invariata può raggiungere a volte quegli aspetti paradossali o inquietanti che ci riconducono inesorabilmente alla metamorfosi. Cosa accade, infatti, quando al posto di una statua, in cima ad una colonna vi é un essere umano in carne ed ossa? L’uomo che trasforma la colonna nella propria dimora non può che suscitare stupore e meraviglia. Se poi, in una sorta di apoteosi della metamorfosi tra l’uomo e l’elemento architettonico, l’essere umano arriva al punto da diventare egli stesso parte della colonna in un’immagine di rara bellezza simbolica, quest’uomo non può essere che un santo. C’è San Simeone lo Stilita che dal 423, per immolare la propria anima al Signore, visse per quasi quarant’anni in cima a una colonna nel deserto siriano e, in una lenta metamorfosi, l’uomo e la colonna diventano così una sola cosa. Infatti, Simeone per offrirsi a Dio, finisce per diventare parte inalienabile della colonna sulla quale ha deciso di vivere e con la quale si identificherà indissolubilmente. L’antropomorfismo dell’elemento architettonico è un’idea che parte dagli antichi Greci e da Vitruvio, che viene poi ripresa da Cesare Cesariano, il quale sostiene che le colonne rappresentano delle matrone; da Hugues Sambin, e in particolar modo da Francesco di Giorgio, secondo il quale le colonne nasconderebbero corpi umani. Anche la stessa iconografia sacra, relativa al fenomeno degli stiliti, come si può rilevare dalle poche immagini pervenuteci, si muove ancora intorno a questo tipo di rappresentazione, in quanto, i diversi stiliti vengono sempre raffigurati con il corpo immerso nella colonna fino ai fianchi; tuttavia, non ci è dato di sapere se vi sia un legame consapevole fra questo tipo di rappresentazioni e le figure antropomorfiche delle colonne presenti nei diversi trattati di architettura.
2014
978-88-95516-31-8
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