"Frontiera rossa" riannoda il filo tortuoso delle politiche del Pci di Togliatti verso il confine orientale nella fase forse più incandescente del secolo scorso: gli anni della Seconda guerra mondiale, della Guerra fredda e della divisione in due dell’Europa. Dopo la disfatta militare del fascismo, che distrusse l’opera di unificazione del Risorgimento, e dopo la scampata annessione al Terzo Reich, il territorio dell’alto Adriatico tornava a essere il fulcro di un’aspra e logorante contesa tra l’Italia e la Jugoslavia. Si trasformava via via nella linea di demarcazione tra il mondo che si riaffacciava alla libertà e il mondo soggetto all’influenza sovietica, inchiodando così il Pci a cavallo di urgenze e fedeltà contraddittorie. Su questo fatidico banco di prova, infatti, si sacrificarono in buona misura le sue responsabilità di partito nazionale. Ma in seno al movimento comunista il confine orientale fu anche una membrana, nient’affatto impermeabile, tra due strategie in acuto contrasto tra loro: il prudente parlamentarismo del Pci di contro al combattivo espansionismo del “partito fratello” jugoslavo. Nell’incubo sempre incombente di un conflitto armato tra l’Urss e le potenze occidentali, si consumò allora uno scontro sotterraneo, finora rimasto nell’ombra, tra Tito e Togliatti. Sostenitore della “guerra inevitabile” e di una visione della rivoluzione in continua espansione, il primo; tenace esecutore delle direttive di Stalin finalizzate a escludere un’insurrezione in Italia, il secondo. Grazie a una ricchissima bibliografia e a una documentazione d’archivio largamente inedita, la ricerca riesce finalmente a fare il punto su un tema che non ha smesso di dividere gli storici e l’opinione pubblica, associando una rigorosa ricostruzione fattuale a nuove e affascinanti chiavi di interpretazione.

Frontiera rossa. Il Pci, il confine orientale, il contesto internazionale (1941-1955)

KARLSEN, PATRICK
2010-01-01

Abstract

"Frontiera rossa" riannoda il filo tortuoso delle politiche del Pci di Togliatti verso il confine orientale nella fase forse più incandescente del secolo scorso: gli anni della Seconda guerra mondiale, della Guerra fredda e della divisione in due dell’Europa. Dopo la disfatta militare del fascismo, che distrusse l’opera di unificazione del Risorgimento, e dopo la scampata annessione al Terzo Reich, il territorio dell’alto Adriatico tornava a essere il fulcro di un’aspra e logorante contesa tra l’Italia e la Jugoslavia. Si trasformava via via nella linea di demarcazione tra il mondo che si riaffacciava alla libertà e il mondo soggetto all’influenza sovietica, inchiodando così il Pci a cavallo di urgenze e fedeltà contraddittorie. Su questo fatidico banco di prova, infatti, si sacrificarono in buona misura le sue responsabilità di partito nazionale. Ma in seno al movimento comunista il confine orientale fu anche una membrana, nient’affatto impermeabile, tra due strategie in acuto contrasto tra loro: il prudente parlamentarismo del Pci di contro al combattivo espansionismo del “partito fratello” jugoslavo. Nell’incubo sempre incombente di un conflitto armato tra l’Urss e le potenze occidentali, si consumò allora uno scontro sotterraneo, finora rimasto nell’ombra, tra Tito e Togliatti. Sostenitore della “guerra inevitabile” e di una visione della rivoluzione in continua espansione, il primo; tenace esecutore delle direttive di Stalin finalizzate a escludere un’insurrezione in Italia, il secondo. Grazie a una ricchissima bibliografia e a una documentazione d’archivio largamente inedita, la ricerca riesce finalmente a fare il punto su un tema che non ha smesso di dividere gli storici e l’opinione pubblica, associando una rigorosa ricostruzione fattuale a nuove e affascinanti chiavi di interpretazione.
2010
9788861020740
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