La nascita della Repubblica, introducendo l’istituzione delle Regioni, produsse l’invenzione del Friuli – Venezia Giulia. In quell’operazione furono messe assieme due parti che erano contermini e che avevano avuto, pur appartenendo a due Stati diversi, una serie di relazioni nel corso del secolo precedente, ma che erano state messe una contro l’altra dall’esito vittorioso della prima guerra mondiale e da quello perdente della seconda: due aree in contrapposizione, costrette a convivere sotto la medesima denominazione. La denominazione adottata dai Costituenti più che indicare una realtà geografica, suggeriva un’aspirazione (a una riannessione), un rammarico (per una terra persa), un memento (di una diversità politica vicina), ma non consentiva una chiara identificazione sotto l’aspetto geografico. Anzi, nonostante la definizione di Venezia Giulia risalisse alla metà dell’Ottocento e fosse stata proposta per distinguere i territori abitati da italiani all’interno dell’Impero asburgico, al momento della sua scrittura nella Carta fondamentale la quasi totalità dei territori conquistati nel 1918 erano esterni all’Italia, lasciati alla Jugoslavia o amministrati – come nel caso di Trieste - dagli anglo americani. Nel 1948 la gran parte della Venezia Giulia era al di fuori dell’Italia, e il “recupero” di Trieste nel 1954 non cambiò di molto le cose, se non dal punto di vista simbolico. La contrapposizione derivava dalla scelta, fatta dal Governo italiano, di favorire nell’opera di ricostruzione successiva al primo dopoguerra, le province annesse e in particolare Trieste, a scapito del Friuli, provocandone il declino economico e la periferizzazione. Tale processo fu alimentato durante il ventennio del regime, anche in forza dei diversi interessi politici locali, e trovò definitiva attestazione, dopo la fine del conflitto successivo, nelle conseguenze dell’introduzione della “cortina di ferro”, che trasformò il territorio in baluardo militare e politico contro l’Est, condizionandolo nel suo complesso anche nel timore di un’occupazione straniera. Così se da un lato Trieste – ovvero la parte principale della Venezia Giulia rimasta all’Italia – manteneva sovvenzioni dallo Stato italiano anche nel momento in cui era amministrata dal governo militare alleato, dall’altro nei primi tre decenni repubblicani nessun stabilimento produttivo era costruito nella parte friulana, se non negli spazi prossimi al Veneto. La distinta attenzione produsse una differenziata crescita economica, politica, sociale e culturale, che aggravò la separazione tra le due parti, stimolando un conflitto diffusa, declinato sotto diversi aspetti. Questo stato delle cose proseguì fino alla seconda metà degli anni Settanta, quando due fenomeni del tutto esterni alle vicende locali, produssero un’inversione di tendenza. Da un lato l’allentamento della contrapposizione internazionale fece sì che il confine non fosse più visto e vissuto come il baluardo dell’Occidente (o, dall’altro versante, dell’Oriente) e le relazioni confinarie e le attività produttive poterono dispiegarsi senza temere repentine interruzioni. Dall’altro i due terremoti del 1976 e la successiva ricostruzione consentirono una ridiscussione dell’organizzazione territoriale supportandola con l’arrivo di grandi quantità di quattrini, che produssero il coinvolgimento della provincia udinese a quello che veniva indicato come il modello NordEst. A suggello di questa nuova condizione, fu richiesta – e ottenuta - l’introduzione di un’università a Udine quale luogo di formazione della classe dirigente locale, in contrapposizione a quella di Trieste, fondata per un motivo analogo a l’indomani dell’annessione post 1918. Alla crescita del Friuli ha fatto da controcanto il declino della Venezia Giulia, che nella presenza del confine aveva trovato ragion d’essere e alimento primo. La fine del Novecento e l’avvio del nuovo secolo – che hanno visto l’abolizione del trattino nella denominazione ufficiale con la riforma del titolo V della Costituzione - vedono meno distanti le due parti sotto l’aspetto economico, sociale e culturale, ma ancora contrapposte e soprattutto senza evidenti volontà di collaborazione, nonostante la Regione nel suo complesso abbia una popolazione – 1,2 milioni di abitanti - prossima a quella di diverse singole Province italiane di medie dimensioni.

Il trattino dirimente. Il Friuli (-) Venezia Giulia ovvero il Friuli contro la Venezia Giulia (e viceversa)

ZILLI, SERGIO
2015-01-01

Abstract

La nascita della Repubblica, introducendo l’istituzione delle Regioni, produsse l’invenzione del Friuli – Venezia Giulia. In quell’operazione furono messe assieme due parti che erano contermini e che avevano avuto, pur appartenendo a due Stati diversi, una serie di relazioni nel corso del secolo precedente, ma che erano state messe una contro l’altra dall’esito vittorioso della prima guerra mondiale e da quello perdente della seconda: due aree in contrapposizione, costrette a convivere sotto la medesima denominazione. La denominazione adottata dai Costituenti più che indicare una realtà geografica, suggeriva un’aspirazione (a una riannessione), un rammarico (per una terra persa), un memento (di una diversità politica vicina), ma non consentiva una chiara identificazione sotto l’aspetto geografico. Anzi, nonostante la definizione di Venezia Giulia risalisse alla metà dell’Ottocento e fosse stata proposta per distinguere i territori abitati da italiani all’interno dell’Impero asburgico, al momento della sua scrittura nella Carta fondamentale la quasi totalità dei territori conquistati nel 1918 erano esterni all’Italia, lasciati alla Jugoslavia o amministrati – come nel caso di Trieste - dagli anglo americani. Nel 1948 la gran parte della Venezia Giulia era al di fuori dell’Italia, e il “recupero” di Trieste nel 1954 non cambiò di molto le cose, se non dal punto di vista simbolico. La contrapposizione derivava dalla scelta, fatta dal Governo italiano, di favorire nell’opera di ricostruzione successiva al primo dopoguerra, le province annesse e in particolare Trieste, a scapito del Friuli, provocandone il declino economico e la periferizzazione. Tale processo fu alimentato durante il ventennio del regime, anche in forza dei diversi interessi politici locali, e trovò definitiva attestazione, dopo la fine del conflitto successivo, nelle conseguenze dell’introduzione della “cortina di ferro”, che trasformò il territorio in baluardo militare e politico contro l’Est, condizionandolo nel suo complesso anche nel timore di un’occupazione straniera. Così se da un lato Trieste – ovvero la parte principale della Venezia Giulia rimasta all’Italia – manteneva sovvenzioni dallo Stato italiano anche nel momento in cui era amministrata dal governo militare alleato, dall’altro nei primi tre decenni repubblicani nessun stabilimento produttivo era costruito nella parte friulana, se non negli spazi prossimi al Veneto. La distinta attenzione produsse una differenziata crescita economica, politica, sociale e culturale, che aggravò la separazione tra le due parti, stimolando un conflitto diffusa, declinato sotto diversi aspetti. Questo stato delle cose proseguì fino alla seconda metà degli anni Settanta, quando due fenomeni del tutto esterni alle vicende locali, produssero un’inversione di tendenza. Da un lato l’allentamento della contrapposizione internazionale fece sì che il confine non fosse più visto e vissuto come il baluardo dell’Occidente (o, dall’altro versante, dell’Oriente) e le relazioni confinarie e le attività produttive poterono dispiegarsi senza temere repentine interruzioni. Dall’altro i due terremoti del 1976 e la successiva ricostruzione consentirono una ridiscussione dell’organizzazione territoriale supportandola con l’arrivo di grandi quantità di quattrini, che produssero il coinvolgimento della provincia udinese a quello che veniva indicato come il modello NordEst. A suggello di questa nuova condizione, fu richiesta – e ottenuta - l’introduzione di un’università a Udine quale luogo di formazione della classe dirigente locale, in contrapposizione a quella di Trieste, fondata per un motivo analogo a l’indomani dell’annessione post 1918. Alla crescita del Friuli ha fatto da controcanto il declino della Venezia Giulia, che nella presenza del confine aveva trovato ragion d’essere e alimento primo. La fine del Novecento e l’avvio del nuovo secolo – che hanno visto l’abolizione del trattino nella denominazione ufficiale con la riforma del titolo V della Costituzione - vedono meno distanti le due parti sotto l’aspetto economico, sociale e culturale, ma ancora contrapposte e soprattutto senza evidenti volontà di collaborazione, nonostante la Regione nel suo complesso abbia una popolazione – 1,2 milioni di abitanti - prossima a quella di diverse singole Province italiane di medie dimensioni.
2015
9788890892615
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