In tempi recenti, e in particolar modo dopo l’esplodere della crisi globale, le letture neo-malthusiane hanno assunto enorme rilevanza sia nello spiegare l’attuale crisi globale sia, nel contempo, nel fornire analisi e periodizzazione dei cicli di crescita e crisi delle economie preindustriali e dei modi di svolgimento di queste. Ovviamente, nei densi legami che legano le letture del passato a quelle dell’oggi, non vi è dubbio che questo derivi dalle forti suggestioni che emergono dalle difficoltà vissute dal paradigma energetico che ha caratterizzato il nostro modello di sviluppo a partire dall’avvio della Rivoluzione industriale, dal riproporsi con forza del confliggere tra popolazione e risorse e dal riapparire dei «limiti» nella possibilità di utilizzo e nella disponibilità delle risorse. Partendo da questa premessa, mio obiettivo è stato quello di mettere a confronto le letture neomalthusiane dei processi di crescita e crisi con la realtà «fattuale» degli eventi che hanno caratterizzato il Seicento cremonese. In base a tale letture, infatti, si poteva ipotizzare che in una fase di conflittualità tra risorse e popolazione, lo scatenarsi di una crisi di mortalità – non entro qui nella questione dei motivi di tale crisi e quindi tralascio di affrontare il compito di stabilire se, essendo scatenata dalla peste e dalla guerra, fosse un fattore esogeno al sistema economico o fosse un fattore ad esso interno – avrebbe causato un calo del popolamento che si sarebbe riflesso, grazie alla minor pressione degli uomini sulla terra e a un più virtuoso rapporto con le risorse, in una crescita del prodotto interno lordo (Pil) pro capite e di conseguenza in un miglioramento sia delle capacità di investimento (e quindi nella possibilità di incrementi ‘qualitativi’ della produttività del lavoro), sia delle condizioni di vita. In realtà, come esito di tale confronto, si può ipotizzare che nel Cremonese, sembra che la peste non abbia avuto ripercussioni «necessarie» per quanto concerne l’avviarsi di cicli virtuosi e/o i fenomeni di scarsità/abbondanza, ma semmai che abbia aperto una serie di possibilità e abbia liberato risorse strategiche, avviando una dura competizione tra ceti e individui. L’esito di tale competizione, fondamen-tale nel modellare sia le strutture economiche, sia i livelli e la qualità della vita delle persone, si rispecchia nei modi in cui il reddito si distribuisce tra individui, ceti e classi e, nel contempo, è a sua volta il risultato di quei modi stessi e delle strutture del contesto in cui avviene.

I cavalieri dell'Apocalisse e le scarsità relative. Penurie, risorse, crisi e crescita nelle economie a energia limitata : il caso di Cremona (XVII secolo)

ANDREOZZI, DANIELE
2015-01-01

Abstract

In tempi recenti, e in particolar modo dopo l’esplodere della crisi globale, le letture neo-malthusiane hanno assunto enorme rilevanza sia nello spiegare l’attuale crisi globale sia, nel contempo, nel fornire analisi e periodizzazione dei cicli di crescita e crisi delle economie preindustriali e dei modi di svolgimento di queste. Ovviamente, nei densi legami che legano le letture del passato a quelle dell’oggi, non vi è dubbio che questo derivi dalle forti suggestioni che emergono dalle difficoltà vissute dal paradigma energetico che ha caratterizzato il nostro modello di sviluppo a partire dall’avvio della Rivoluzione industriale, dal riproporsi con forza del confliggere tra popolazione e risorse e dal riapparire dei «limiti» nella possibilità di utilizzo e nella disponibilità delle risorse. Partendo da questa premessa, mio obiettivo è stato quello di mettere a confronto le letture neomalthusiane dei processi di crescita e crisi con la realtà «fattuale» degli eventi che hanno caratterizzato il Seicento cremonese. In base a tale letture, infatti, si poteva ipotizzare che in una fase di conflittualità tra risorse e popolazione, lo scatenarsi di una crisi di mortalità – non entro qui nella questione dei motivi di tale crisi e quindi tralascio di affrontare il compito di stabilire se, essendo scatenata dalla peste e dalla guerra, fosse un fattore esogeno al sistema economico o fosse un fattore ad esso interno – avrebbe causato un calo del popolamento che si sarebbe riflesso, grazie alla minor pressione degli uomini sulla terra e a un più virtuoso rapporto con le risorse, in una crescita del prodotto interno lordo (Pil) pro capite e di conseguenza in un miglioramento sia delle capacità di investimento (e quindi nella possibilità di incrementi ‘qualitativi’ della produttività del lavoro), sia delle condizioni di vita. In realtà, come esito di tale confronto, si può ipotizzare che nel Cremonese, sembra che la peste non abbia avuto ripercussioni «necessarie» per quanto concerne l’avviarsi di cicli virtuosi e/o i fenomeni di scarsità/abbondanza, ma semmai che abbia aperto una serie di possibilità e abbia liberato risorse strategiche, avviando una dura competizione tra ceti e individui. L’esito di tale competizione, fondamen-tale nel modellare sia le strutture economiche, sia i livelli e la qualità della vita delle persone, si rispecchia nei modi in cui il reddito si distribuisce tra individui, ceti e classi e, nel contempo, è a sua volta il risultato di quei modi stessi e delle strutture del contesto in cui avviene.
2015
9788815253354
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