Assistiamo a un ritorno del sensibile? Chiede É. Grossman in Éloge de l”hypersensible (2017). Studi contemporanei in campi diversi lo confermano: J. Rancière legge la politica come La partizione del sensibile, G. Didi-Huberman apre la storia dell'arte alle emozioni dei popoli. In architettura una strada sembra aperta dalla collaborazione con le neuroscienze. Qui si propone piuttosto una riflessione su un ritorno presunto, in fondo sempre coltivato da certa architettura italiana degli interni. La deistituzionalizzazione della cura dei disturbi mentali (Basaglia 1978) è conquista di diritti civili che implica la capacità, spesso disattesa, della comunità di accogliere chi, incarnando la contraddizione dei miti del benessere e del performante, è portatore di una sensibilità diversa o acuita, a cui l’architettura deve dare spazio. L’università di Trieste ha in corso una ricerca su case per l’abitare autonomo di persone con alterazione delle percezioni sensoriali (autismo), con uso di sensori che migliorino la sicurezza preservando la privacy, letteralmente ipersensibili. Al di là della sensibilità tecno, lo spettro sensibile dell’architettura può ampliarsi rimeditando la cultura dell’inclusività, applicata spesso in senso prescrittivo, riducendo il progetto a prontuario prestazionale certificabile: il paradosso di andare oltre la “normalità” normando. Studi sulle implicazioni etiche di questo paradosso (Heylighen, Bianchin, 2018) indicano che il nesso architettura-forme di diversa abilità, affrontato prevalentemente dalla tecnologia dell’architettura, sia occasione di riflessione teorica per l’architettura, specie degli interni, per estendere più che limitare gli orizzonti del progetto, recependo le differenze nella percezione spaziale e nelle forme di movimento come espansione dei modi prevalenti di comprendere e interpretare lo spazio.

Spazi dell’(iper)sensibile

giuseppina scavuzzo
2020-01-01

Abstract

Assistiamo a un ritorno del sensibile? Chiede É. Grossman in Éloge de l”hypersensible (2017). Studi contemporanei in campi diversi lo confermano: J. Rancière legge la politica come La partizione del sensibile, G. Didi-Huberman apre la storia dell'arte alle emozioni dei popoli. In architettura una strada sembra aperta dalla collaborazione con le neuroscienze. Qui si propone piuttosto una riflessione su un ritorno presunto, in fondo sempre coltivato da certa architettura italiana degli interni. La deistituzionalizzazione della cura dei disturbi mentali (Basaglia 1978) è conquista di diritti civili che implica la capacità, spesso disattesa, della comunità di accogliere chi, incarnando la contraddizione dei miti del benessere e del performante, è portatore di una sensibilità diversa o acuita, a cui l’architettura deve dare spazio. L’università di Trieste ha in corso una ricerca su case per l’abitare autonomo di persone con alterazione delle percezioni sensoriali (autismo), con uso di sensori che migliorino la sicurezza preservando la privacy, letteralmente ipersensibili. Al di là della sensibilità tecno, lo spettro sensibile dell’architettura può ampliarsi rimeditando la cultura dell’inclusività, applicata spesso in senso prescrittivo, riducendo il progetto a prontuario prestazionale certificabile: il paradosso di andare oltre la “normalità” normando. Studi sulle implicazioni etiche di questo paradosso (Heylighen, Bianchin, 2018) indicano che il nesso architettura-forme di diversa abilità, affrontato prevalentemente dalla tecnologia dell’architettura, sia occasione di riflessione teorica per l’architettura, specie degli interni, per estendere più che limitare gli orizzonti del progetto, recependo le differenze nella percezione spaziale e nelle forme di movimento come espansione dei modi prevalenti di comprendere e interpretare lo spazio.
2020
978-88-9387-113-6
978-88-9387-117-4
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