L’intento di costruire luoghi disponibili ad accogliere nuove relazioni sociali è alla base dell’importanza originariamente assegnata, nei quartieri di edilizia pubblica, al progetto dello spazio aperto collettivo. Uno spazio il cui disegno è però rimasto in molti casi incompiuto. Da territorio di pratiche in comune, esso si è così spesso configurato come ambito di appropriazioni individualistiche e processi di degrado, all’origine della stigmatizzazione di interi quartieri e delle popolazioni che li abitano. Anche se da alcuni decenni il progetto di riqualificazione delle periferie pubbliche è tornato a occuparsi della qualità dello spazio aperto, il frequente permanere di uno scollamento tra disegno fisico ed esigenze degli abitanti ribadisce l’inefficacia di soluzioni calate dall’alto. Evidenzia piuttosto la necessità di confrontarsi con il ri-disegno dei paesaggi della vita quotidiana anche a partire dall’attivazione di processi di dialogo e apprendimento, volti a tradurre le aspirazioni di diversi soggetti a uno spazio condiviso e a un bene comune nel quale riconoscersi e per il quale mobilitarsi. Aspirazioni talvolta ancora inespresse, che fanno però intravedere la possibilità di sperimentare inedite forme di welfare locale attivo, fondate sul coinvolgimento di operatori istituzionali e abitanti nella costruzione di nuovi spazi del pubblico. È a partire da tali considerazioni che sono presentati gli esiti di alcuni Laboratori di quartiere organizzati nelle periferie pubbliche triestine. Attraverso l’allestimento di eventi e installazioni di Public Art, l’interazione con azioni territoriali di natura sanitaria e socio-assistenziale, il dialogo con operatori e abitanti, i Laboratori hanno consentito di sperimentare differenti modalità di sensibilizzazione, visualizzazione, microtrasformazione, riappropriazione dei paesaggi del quotidiano.

Periferie e paesaggi del quotidiano. Forme, usi e processi nella costruzione di spazi del pubblico

MARCHIGIANI, ELENA;
2011-01-01

Abstract

L’intento di costruire luoghi disponibili ad accogliere nuove relazioni sociali è alla base dell’importanza originariamente assegnata, nei quartieri di edilizia pubblica, al progetto dello spazio aperto collettivo. Uno spazio il cui disegno è però rimasto in molti casi incompiuto. Da territorio di pratiche in comune, esso si è così spesso configurato come ambito di appropriazioni individualistiche e processi di degrado, all’origine della stigmatizzazione di interi quartieri e delle popolazioni che li abitano. Anche se da alcuni decenni il progetto di riqualificazione delle periferie pubbliche è tornato a occuparsi della qualità dello spazio aperto, il frequente permanere di uno scollamento tra disegno fisico ed esigenze degli abitanti ribadisce l’inefficacia di soluzioni calate dall’alto. Evidenzia piuttosto la necessità di confrontarsi con il ri-disegno dei paesaggi della vita quotidiana anche a partire dall’attivazione di processi di dialogo e apprendimento, volti a tradurre le aspirazioni di diversi soggetti a uno spazio condiviso e a un bene comune nel quale riconoscersi e per il quale mobilitarsi. Aspirazioni talvolta ancora inespresse, che fanno però intravedere la possibilità di sperimentare inedite forme di welfare locale attivo, fondate sul coinvolgimento di operatori istituzionali e abitanti nella costruzione di nuovi spazi del pubblico. È a partire da tali considerazioni che sono presentati gli esiti di alcuni Laboratori di quartiere organizzati nelle periferie pubbliche triestine. Attraverso l’allestimento di eventi e installazioni di Public Art, l’interazione con azioni territoriali di natura sanitaria e socio-assistenziale, il dialogo con operatori e abitanti, i Laboratori hanno consentito di sperimentare differenti modalità di sensibilizzazione, visualizzazione, microtrasformazione, riappropriazione dei paesaggi del quotidiano.
2011
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