Il volume “L’eguaglianza alla prova delle azioni positive” vuole “testare” il fenomeno delle azioni positive alla luce del principio generale di eguaglianza. Le azioni positive costituiscono, come noto, misure preferenziali, in genere normative, a favore di gruppi che appaiono sfavoriti o discriminati rispetto alla maggioranza della popolazione. Le azioni positive trovano la loro matrice e il loro scopo nell’esigenza di raggiungere l’eguaglianza c.d. sostanziale fra cittadini. Al tempo stesso, tuttavia, il fine egualitario è realizzato attraverso strumenti che, nella forma oppure negli effetti, risultano “distintivi” dei gruppi posti a raffronto. L’azione positiva del legislatore è soggetta allora al vaglio del principio di eguaglianza nella sua versione negativa, che si esprime in un divieto di ingiustificata differenziazione o discriminazione fra individui (e fra gruppi), declinato con variabile severità. Il bilanciamento tra queste “dimensioni” del principio di eguaglianza, la prima affidata alla funzione legislativa, la seconda alla funzione giudiziaria (il giudice costituzionale, il giudice internazionale o europeo), incarna, in termini semplificati e formali, il problema delle azioni positive. Il dissimile “peso” attribuito allo scopo e alla giustificazione della misura e la valutazione (data dal legislatore e dal giudice) della diversità delle situazioni alle quali la misura diseguale intende porre rimedio, hanno determinato una variabilità di giudizi sulle azioni positive, che i contributi del presente volume ricostruiscono, con prospettive e sensibilità diverse, accomunate tuttavia da un medesimo filo logico. Il principio di eguaglianza, declinato in forma negativa dal giudice (nel senso della garanzia dell’eguaglianza “formale”) tende a riconoscere progressivamente, pur attraverso diversificate scelte tecniche, il valore delle azioni positive come strumento di promozione dell’eguaglianza fra gruppi. Del fine di tali azioni esso s’appropria, talora correggendo l’azione del legislatore, talora estendendone in via pretoria la portata, attraverso la leva dell’eguaglianza fra individui. Soprattutto in ambito europeo, tale orientamento manifesta una forma originale di dialogo non solo tra legislatore e giudice, ma altresì tra giudici a vantaggio di una concezione integrata dei vari contenuti della parità.
L’eguaglianza alla prova delle azioni positive
SPITALERI, FABIO
2013-01-01
Abstract
Il volume “L’eguaglianza alla prova delle azioni positive” vuole “testare” il fenomeno delle azioni positive alla luce del principio generale di eguaglianza. Le azioni positive costituiscono, come noto, misure preferenziali, in genere normative, a favore di gruppi che appaiono sfavoriti o discriminati rispetto alla maggioranza della popolazione. Le azioni positive trovano la loro matrice e il loro scopo nell’esigenza di raggiungere l’eguaglianza c.d. sostanziale fra cittadini. Al tempo stesso, tuttavia, il fine egualitario è realizzato attraverso strumenti che, nella forma oppure negli effetti, risultano “distintivi” dei gruppi posti a raffronto. L’azione positiva del legislatore è soggetta allora al vaglio del principio di eguaglianza nella sua versione negativa, che si esprime in un divieto di ingiustificata differenziazione o discriminazione fra individui (e fra gruppi), declinato con variabile severità. Il bilanciamento tra queste “dimensioni” del principio di eguaglianza, la prima affidata alla funzione legislativa, la seconda alla funzione giudiziaria (il giudice costituzionale, il giudice internazionale o europeo), incarna, in termini semplificati e formali, il problema delle azioni positive. Il dissimile “peso” attribuito allo scopo e alla giustificazione della misura e la valutazione (data dal legislatore e dal giudice) della diversità delle situazioni alle quali la misura diseguale intende porre rimedio, hanno determinato una variabilità di giudizi sulle azioni positive, che i contributi del presente volume ricostruiscono, con prospettive e sensibilità diverse, accomunate tuttavia da un medesimo filo logico. Il principio di eguaglianza, declinato in forma negativa dal giudice (nel senso della garanzia dell’eguaglianza “formale”) tende a riconoscere progressivamente, pur attraverso diversificate scelte tecniche, il valore delle azioni positive come strumento di promozione dell’eguaglianza fra gruppi. Del fine di tali azioni esso s’appropria, talora correggendo l’azione del legislatore, talora estendendone in via pretoria la portata, attraverso la leva dell’eguaglianza fra individui. Soprattutto in ambito europeo, tale orientamento manifesta una forma originale di dialogo non solo tra legislatore e giudice, ma altresì tra giudici a vantaggio di una concezione integrata dei vari contenuti della parità.Pubblicazioni consigliate
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