Le imposte servono ovviamente a finanziare le spese pubbliche, meno scontato è invece come debbano essere ripartiti i relativi pesi sulla collettività. Il criterio del «beneficio», nell’alludere ad uno «scambio» tra imposte e servizi pubblici, esprime il salutare interesse dei singoli all’efficienza ed ai vantaggi dell’azione pubblica, ma i crescenti bisogni delle finanze statali e la dissociazione tra i destinatari della spesa sociale e i suoi «finanziatori» imponevano il suo superamento. Anche se l’orizzonte del «beneficio» non può essere del tutto abbandonato, con l’espandersi dei compiti degli Stati occorreva giocoforza fondare la tassazione sulle ricchezze degli individui, sulla loro «capacità» di contribuire ai carichi pubblici, sostenendo un esborso (ability to pay). Da questa evoluzione nascono i moderni sistemi tributari, e l’esigenza di qualificare, determinare e valutare socialmente i diritti proprietari dei singoli, a cui commisurare il prelievo fiscale. L’esenzione del «minimo vitale», la discriminazione dei redditi «non guadagnati» e perpetui, la progressività dell’imposizione, la scelta delle singole manifestazioni di capacità economica da tassare – patrimoni, redditi, consumi – sono alcune delle questioni di cui si occupa il libro, accomunate da un unico filo conduttore: la misurazione e l’apprezzamento ai fini sociali dei redditi e dei patrimoni individuali, nella prospettiva della tassazione. A questi stessi temi risulta variamente intrecciato il mito della «redistribuzione», dell’utilizzo dell’imposta in chiave compensatoria, quale fattore correttivo delle disuguaglianze: in apparenza funzione indefettibile e centrale dello strumento tributario, in realtà semplice effetto combinato di prelievo fiscale e spesa pubblica, o tuttalpiù contingente opzione di politica legislativa.

La giustificazione sociale dell'imposta. Tributi e determinabilità della ricchezza tra diritto e politica

STEVANATO, DARIO
2014-01-01

Abstract

Le imposte servono ovviamente a finanziare le spese pubbliche, meno scontato è invece come debbano essere ripartiti i relativi pesi sulla collettività. Il criterio del «beneficio», nell’alludere ad uno «scambio» tra imposte e servizi pubblici, esprime il salutare interesse dei singoli all’efficienza ed ai vantaggi dell’azione pubblica, ma i crescenti bisogni delle finanze statali e la dissociazione tra i destinatari della spesa sociale e i suoi «finanziatori» imponevano il suo superamento. Anche se l’orizzonte del «beneficio» non può essere del tutto abbandonato, con l’espandersi dei compiti degli Stati occorreva giocoforza fondare la tassazione sulle ricchezze degli individui, sulla loro «capacità» di contribuire ai carichi pubblici, sostenendo un esborso (ability to pay). Da questa evoluzione nascono i moderni sistemi tributari, e l’esigenza di qualificare, determinare e valutare socialmente i diritti proprietari dei singoli, a cui commisurare il prelievo fiscale. L’esenzione del «minimo vitale», la discriminazione dei redditi «non guadagnati» e perpetui, la progressività dell’imposizione, la scelta delle singole manifestazioni di capacità economica da tassare – patrimoni, redditi, consumi – sono alcune delle questioni di cui si occupa il libro, accomunate da un unico filo conduttore: la misurazione e l’apprezzamento ai fini sociali dei redditi e dei patrimoni individuali, nella prospettiva della tassazione. A questi stessi temi risulta variamente intrecciato il mito della «redistribuzione», dell’utilizzo dell’imposta in chiave compensatoria, quale fattore correttivo delle disuguaglianze: in apparenza funzione indefettibile e centrale dello strumento tributario, in realtà semplice effetto combinato di prelievo fiscale e spesa pubblica, o tuttalpiù contingente opzione di politica legislativa.
2014
978-88-15-25346-0
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