L’idea di grazia dice la condizione migliore in cui possiamo esprimere la nostra umanità. Supera la potenza del desiderio e vale come l’assoluto del dono. La sua ricca polisemia investe molti ambiti - estetico, giuridico, teologico, antropologico - e ogni volta li trasforma. Attraversa diffusamente il linguaggio quotidiano nella ripetizione dei “grazie”, concerne il sentimento della gratitudine, definisce il fascino, restando tuttavia impercettibile, sino alla dimenticanza. Eppure si tratta di un’idea potente che ha caratterizzato la storia della nostra cultura da Omero alla filosofia contemporanea. Qui si cerca di mostrare il carattere ricorrente dell’invenzione della grazia: la trasfigurazione di sé nel proprio meglio, il più che naturale dell’umano, il nesso di attività e passività nel soggetto. Questo libro indaga la scoperta della grazia, a partire dal saluto di Nausicaa a Ulisse: «Chaire, straniero!»: si tratta di un imperativo di grazia, che ordina di splendere di gioia. Lo stesso augurio è quello angelico a Maria. Il primo capitolo - Charis (grazia in greco) - esamina dunque la poesia antica e il mito, evidenziando il valore della gratitudine nella logica del dono. Il secondo capitolo ritrova Aglaia (la prima delle Grazie, lo splendore) come charis nella filosofia di Plotino, che attribuisce alla grazia il potere d’attrazione della bellezza. Sorprendentemente il pensiero plotiniano rivela l’efficacia della grazia nella dimensione sensibile, come luogo del dispiegamento delle nostre capacità. La gratia latina (capitolo terzo) innalza all’impianto teologico l’esperienza del beneficio, tanto da sovrapporre al nome della grazia l’idea smisurata di Dio, cosicché nella traduzione cristiana la grazia disvela l’intreccio di natura e libertà, portato alla tensione estrema dei due poli. La modernità conosce la grazia dei corpi, che suscita un’educazione della sensibilità: Schiller (capitolo quarto) comprende la grazia come autenticità, frutto della libertà personale, mostrando lo stadio estetico quale tappa più alta, cui continuamente approssimarsi. La lezione estetica si apre qui all’ontologia. L’indefinibile della grazia attrae e trasfigura, nel tempo che è suo: charme e chance vanno insieme. Su questo legame, che diventa impegno etico, molte autorevoli voci si sono pronunciate nel XX secolo, tra queste quella di Jankélévitch, da una lato, e di Guardini, dall’altro (quinto capitolo). Il filo rosso che attraversa l’intero percorso ha il proprio capo nel pensiero di Luigi Pareyson, maestro della dialettica concreta di definitezza e infinità. L’idea di grazia dice la condizione migliore in cui possiamo esprimere la nostra umanità. Supera la potenza del desiderio e vale come l’assoluto del dono. La sua ricca polisemia investe molti ambiti - estetico, giuridico, teologico, antropologico - e ogni volta li trasforma. Attraversa diffusamente il linguaggio quotidiano nella ripetizione dei “grazie”, concerne il sentimento della gratitudine, definisce il fascino, restando tuttavia impercettibile, sino alla dimenticanza. Eppure si tratta di un’idea potente che ha caratterizzato la storia della nostra cultura da Omero alla filosofia contemporanea. Qui si cerca di mostrare il carattere ricorrente dell’invenzione della grazia: la trasfigurazione di sé nel proprio meglio, il più che naturale dell’umano, il nesso di attività e passività nel soggetto. Questo libro indaga la scoperta della grazia, a partire dal saluto di Nausicaa a Ulisse: «Chaire, straniero!»: si tratta di un imperativo di grazia, che ordina di splendere di gioia. Lo stesso augurio è quello angelico a Maria. Il primo capitolo - Charis (grazia in greco) - esamina dunque la poesia antica e il mito, evidenziando il valore della gratitudine nella logica del dono. Il secondo capitolo ritrova Aglaia (la prima delle Grazie, lo splendore) come charis nella filosofia di Plotino, che attribuisce alla grazia il potere d’attrazione della bellezza. Sorprendentemente il pensiero plotiniano rivela l’efficacia della grazia nella dimensione sensibile, come luogo del dispiegamento delle nostre capacità. La gratia latina (capitolo terzo) innalza all’impianto teologico l’esperienza del beneficio, tanto da sovrapporre al nome della grazia l’idea smisurata di Dio, cosicché nella traduzione cristiana la grazia disvela l’intreccio di natura e libertà, portato alla tensione estrema dei due poli. La modernità conosce la grazia dei corpi, che suscita un’educazione della sensibilità: Schiller (capitolo quarto) comprende la grazia come autenticità, frutto della libertà personale, mostrando lo stadio estetico quale tappa più alta, cui continuamente approssimarsi. La lezione estetica si apre qui all’ontologia. L’indefinibile della grazia attrae e trasfigura, nel tempo che è suo: charme e chance vanno insieme. Su questo legame, che diventa impegno etico, molte autorevoli voci si sono pronunciate nel XX secolo, tra queste quella di Jankélévitch, da una lato, e di Guardini, dall’altro (quinto capitolo). Il filo rosso che attraversa l’intero percorso ha il proprio capo nel pensiero di Luigi Pareyson, maestro della dialettica concreta di definitezza e infinità.

L'invenzione della grazia. Sulle tracce di un'idea splendida

Alessandra Cislaghi
2018-01-01

Abstract

L’idea di grazia dice la condizione migliore in cui possiamo esprimere la nostra umanità. Supera la potenza del desiderio e vale come l’assoluto del dono. La sua ricca polisemia investe molti ambiti - estetico, giuridico, teologico, antropologico - e ogni volta li trasforma. Attraversa diffusamente il linguaggio quotidiano nella ripetizione dei “grazie”, concerne il sentimento della gratitudine, definisce il fascino, restando tuttavia impercettibile, sino alla dimenticanza. Eppure si tratta di un’idea potente che ha caratterizzato la storia della nostra cultura da Omero alla filosofia contemporanea. Qui si cerca di mostrare il carattere ricorrente dell’invenzione della grazia: la trasfigurazione di sé nel proprio meglio, il più che naturale dell’umano, il nesso di attività e passività nel soggetto. Questo libro indaga la scoperta della grazia, a partire dal saluto di Nausicaa a Ulisse: «Chaire, straniero!»: si tratta di un imperativo di grazia, che ordina di splendere di gioia. Lo stesso augurio è quello angelico a Maria. Il primo capitolo - Charis (grazia in greco) - esamina dunque la poesia antica e il mito, evidenziando il valore della gratitudine nella logica del dono. Il secondo capitolo ritrova Aglaia (la prima delle Grazie, lo splendore) come charis nella filosofia di Plotino, che attribuisce alla grazia il potere d’attrazione della bellezza. Sorprendentemente il pensiero plotiniano rivela l’efficacia della grazia nella dimensione sensibile, come luogo del dispiegamento delle nostre capacità. La gratia latina (capitolo terzo) innalza all’impianto teologico l’esperienza del beneficio, tanto da sovrapporre al nome della grazia l’idea smisurata di Dio, cosicché nella traduzione cristiana la grazia disvela l’intreccio di natura e libertà, portato alla tensione estrema dei due poli. La modernità conosce la grazia dei corpi, che suscita un’educazione della sensibilità: Schiller (capitolo quarto) comprende la grazia come autenticità, frutto della libertà personale, mostrando lo stadio estetico quale tappa più alta, cui continuamente approssimarsi. La lezione estetica si apre qui all’ontologia. L’indefinibile della grazia attrae e trasfigura, nel tempo che è suo: charme e chance vanno insieme. Su questo legame, che diventa impegno etico, molte autorevoli voci si sono pronunciate nel XX secolo, tra queste quella di Jankélévitch, da una lato, e di Guardini, dall’altro (quinto capitolo). Il filo rosso che attraversa l’intero percorso ha il proprio capo nel pensiero di Luigi Pareyson, maestro della dialettica concreta di definitezza e infinità. L’idea di grazia dice la condizione migliore in cui possiamo esprimere la nostra umanità. Supera la potenza del desiderio e vale come l’assoluto del dono. La sua ricca polisemia investe molti ambiti - estetico, giuridico, teologico, antropologico - e ogni volta li trasforma. Attraversa diffusamente il linguaggio quotidiano nella ripetizione dei “grazie”, concerne il sentimento della gratitudine, definisce il fascino, restando tuttavia impercettibile, sino alla dimenticanza. Eppure si tratta di un’idea potente che ha caratterizzato la storia della nostra cultura da Omero alla filosofia contemporanea. Qui si cerca di mostrare il carattere ricorrente dell’invenzione della grazia: la trasfigurazione di sé nel proprio meglio, il più che naturale dell’umano, il nesso di attività e passività nel soggetto. Questo libro indaga la scoperta della grazia, a partire dal saluto di Nausicaa a Ulisse: «Chaire, straniero!»: si tratta di un imperativo di grazia, che ordina di splendere di gioia. Lo stesso augurio è quello angelico a Maria. Il primo capitolo - Charis (grazia in greco) - esamina dunque la poesia antica e il mito, evidenziando il valore della gratitudine nella logica del dono. Il secondo capitolo ritrova Aglaia (la prima delle Grazie, lo splendore) come charis nella filosofia di Plotino, che attribuisce alla grazia il potere d’attrazione della bellezza. Sorprendentemente il pensiero plotiniano rivela l’efficacia della grazia nella dimensione sensibile, come luogo del dispiegamento delle nostre capacità. La gratia latina (capitolo terzo) innalza all’impianto teologico l’esperienza del beneficio, tanto da sovrapporre al nome della grazia l’idea smisurata di Dio, cosicché nella traduzione cristiana la grazia disvela l’intreccio di natura e libertà, portato alla tensione estrema dei due poli. La modernità conosce la grazia dei corpi, che suscita un’educazione della sensibilità: Schiller (capitolo quarto) comprende la grazia come autenticità, frutto della libertà personale, mostrando lo stadio estetico quale tappa più alta, cui continuamente approssimarsi. La lezione estetica si apre qui all’ontologia. L’indefinibile della grazia attrae e trasfigura, nel tempo che è suo: charme e chance vanno insieme. Su questo legame, che diventa impegno etico, molte autorevoli voci si sono pronunciate nel XX secolo, tra queste quella di Jankélévitch, da una lato, e di Guardini, dall’altro (quinto capitolo). Il filo rosso che attraversa l’intero percorso ha il proprio capo nel pensiero di Luigi Pareyson, maestro della dialettica concreta di definitezza e infinità.
2018
9788857547749
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11368/2922276
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