Nell’ultima fase della prima guerra mondiale, l’Italia aveva sviluppato una propaganda che mirava a conferire un fondamento morale e ideale al proprio sforzo bellico, presentato come una lotta per la liberazione delle “nazionalità oppresse” dall’Impero asburgico. In questo contesto si svolse il congresso dei popoli oppressi, tenutosi a Roma nell’aprile del 1918, cui presero parte esponenti dei movimenti nazionali dell’Europa centrale e sud-orientale, e si concretizzò l’esperienza delle legioni romena e cecoslovacca, che combatterono a fianco dell’esercito italiano negli ultimi mesi del conflitto. Nei primi anni Venti, l’Italia fondò o rilanciò una serie di istituti culturali, attivi sia in patria che nell’Europa danubiano-balcanica, allo scopo di continuare idealmente il discorso della “cooperazione” antiasburgica e di fiancheggiare per mezzo di una “diplomazia culturale”, centrata sul mito della “latinità” e del primato della civiltà italiana, la penetrazione politica italiana in quei paesi. Tramite i suoi istituti culturali, l’Italia, prima liberale, poi fascista, dovette rivaleggiare nell’area danubiano-balcanica con la tradizionale presenza francese e successivamente, negli anni Trenta, con la ben più agguerrita propaganda tedesca, rispetto alla quale la “diplomazia culturale” italiana giocò nuovamente la carta della civiltà latina e cristiana, da contrapporre al paganesimo e al razzismo nazista.

L’Italia e l’Europa danubiano-balcanica fra politica e cultura nel primo dopoguerra

Santoro S
In corso di stampa

Abstract

Nell’ultima fase della prima guerra mondiale, l’Italia aveva sviluppato una propaganda che mirava a conferire un fondamento morale e ideale al proprio sforzo bellico, presentato come una lotta per la liberazione delle “nazionalità oppresse” dall’Impero asburgico. In questo contesto si svolse il congresso dei popoli oppressi, tenutosi a Roma nell’aprile del 1918, cui presero parte esponenti dei movimenti nazionali dell’Europa centrale e sud-orientale, e si concretizzò l’esperienza delle legioni romena e cecoslovacca, che combatterono a fianco dell’esercito italiano negli ultimi mesi del conflitto. Nei primi anni Venti, l’Italia fondò o rilanciò una serie di istituti culturali, attivi sia in patria che nell’Europa danubiano-balcanica, allo scopo di continuare idealmente il discorso della “cooperazione” antiasburgica e di fiancheggiare per mezzo di una “diplomazia culturale”, centrata sul mito della “latinità” e del primato della civiltà italiana, la penetrazione politica italiana in quei paesi. Tramite i suoi istituti culturali, l’Italia, prima liberale, poi fascista, dovette rivaleggiare nell’area danubiano-balcanica con la tradizionale presenza francese e successivamente, negli anni Trenta, con la ben più agguerrita propaganda tedesca, rispetto alla quale la “diplomazia culturale” italiana giocò nuovamente la carta della civiltà latina e cristiana, da contrapporre al paganesimo e al razzismo nazista.
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