La domanda di giustizia sorge ordinariamente dall’esperienza del torto subìto e chiede una risposta fattiva, che replichi – questo è il presupposto fondante in prospettiva teorica – alla violazione del principio bonum faciendum, malum vitandum. Nel fare giustizia si ritrovano fin dall’antichità una pluralità di percorsi, che rispondono ad alcune figure concettuali classiche già teorizzate da Aristotele, come il “giusto distributivo” e il “giusto correttivo” e il “taglione” o “contrappasso”. Quest’ultimo si configura tuttavia come un fare del male a chi ha fatto del male, in una logica di specularità tra il male agito e quello da subire, generando così un curioso paradosso, ovvero l’idea di poter riaffermare il principio bonum faciendum, malum vitandum attraverso una sua deliberata violazione. È possibile, e se sì a quali condizioni, risolvere questa contraddizione morale? L’indagine si snoda attraverso una serie di studi, volti a esplorare la questione ricorrendo alle principali concettualità implicate nel fare giustizia (tra cui le idee di male, di privazione, di negazione, di pena, di colpa, di espiazione…) secondo le lezioni di Aristotele e più in particolare di Tommaso d’Aquino. Il repertorio teorico più tradizionale viene riesaminato alla ricerca di intuizioni e significati coerenti dal punto di vista sistematico e in grado di dialogare con i più recenti sviluppi nel campo delle pratiche riferibili al paradigma della Restorative Justice. Ne risulta una ampia ricerca, da cui emerge la possibilità di introdurre la figura del “giusto riparativo” come una modalità del fare giustizia in grado di intercettare ciò che manca al “giusto correttivo” senza ingenerare le contraddizioni imputabili al “contrappasso”.
Fare giustizia. Un’indagine morale sul male, la pena e la riparazione
Giovanni Grandi
Conceptualization
2020-01-01
Abstract
La domanda di giustizia sorge ordinariamente dall’esperienza del torto subìto e chiede una risposta fattiva, che replichi – questo è il presupposto fondante in prospettiva teorica – alla violazione del principio bonum faciendum, malum vitandum. Nel fare giustizia si ritrovano fin dall’antichità una pluralità di percorsi, che rispondono ad alcune figure concettuali classiche già teorizzate da Aristotele, come il “giusto distributivo” e il “giusto correttivo” e il “taglione” o “contrappasso”. Quest’ultimo si configura tuttavia come un fare del male a chi ha fatto del male, in una logica di specularità tra il male agito e quello da subire, generando così un curioso paradosso, ovvero l’idea di poter riaffermare il principio bonum faciendum, malum vitandum attraverso una sua deliberata violazione. È possibile, e se sì a quali condizioni, risolvere questa contraddizione morale? L’indagine si snoda attraverso una serie di studi, volti a esplorare la questione ricorrendo alle principali concettualità implicate nel fare giustizia (tra cui le idee di male, di privazione, di negazione, di pena, di colpa, di espiazione…) secondo le lezioni di Aristotele e più in particolare di Tommaso d’Aquino. Il repertorio teorico più tradizionale viene riesaminato alla ricerca di intuizioni e significati coerenti dal punto di vista sistematico e in grado di dialogare con i più recenti sviluppi nel campo delle pratiche riferibili al paradigma della Restorative Justice. Ne risulta una ampia ricerca, da cui emerge la possibilità di introdurre la figura del “giusto riparativo” come una modalità del fare giustizia in grado di intercettare ciò che manca al “giusto correttivo” senza ingenerare le contraddizioni imputabili al “contrappasso”.File | Dimensione | Formato | |
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