I rapporti tra la repubblica di Venezia e il regno di Napoli durante il regno di Ferrante d’Aragona (1458-1494) non furono mai positivi. Una piccola eccezione si registrò negli anni dal 1470 al 1473, quando la minaccia dei Turchi a est aveva contribuito a far convergere alcuni obiettivi politici delle due potenze italiane. L’apice della concordia tra Venezia e Napoli fu raggiunto nel 1471, quando fu stipulato un accordo di carattere difensivo tra le due, finalizzato alla lotta comune contro la Sublime Porta. Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”. Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola. Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese. Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore, una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano. E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola. La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani. Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro. Da tre diverse fonti diplomatiche quattrocentesche è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: dai dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, da quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e da quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese. Tramite le lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano. Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.

La "Questione di Cipro del 1473": la memoria della rottura dei rapporti tra Napoli e Venezia nelle fonti diplomatiche

Calabrò Giulia
2020-01-01

Abstract

I rapporti tra la repubblica di Venezia e il regno di Napoli durante il regno di Ferrante d’Aragona (1458-1494) non furono mai positivi. Una piccola eccezione si registrò negli anni dal 1470 al 1473, quando la minaccia dei Turchi a est aveva contribuito a far convergere alcuni obiettivi politici delle due potenze italiane. L’apice della concordia tra Venezia e Napoli fu raggiunto nel 1471, quando fu stipulato un accordo di carattere difensivo tra le due, finalizzato alla lotta comune contro la Sublime Porta. Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”. Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola. Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese. Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore, una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano. E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola. La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani. Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro. Da tre diverse fonti diplomatiche quattrocentesche è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: dai dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, da quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e da quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese. Tramite le lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano. Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.
2020
978-88-31445-06-1
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