Il contributo è dedicato al principio generale di eguaglianza. Esso espone i passaggi fondamentali della legislazione e della giurisprudenza comunitaria, che hanno portato all’affermazione di tale principio e, in seguito, alla sua codificazione nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’esposizione parte dalla premessa – ben nota – che, in origine, i Trattati non contenevano un riconoscimento espresso e generale del principio di eguaglianza, ma specifici divieti di discriminazione, che perseguivano lo scopo fondamentale, ma ben circoscritto, della costruzione del mercato comune (si trattava del divieto di discriminazioni in base alla nazionalità, del divieto di discriminazioni salariali di genere e, infine, del divieto di discriminazioni tra produttori e tra consumatori nell’ambito delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli). Ben presto, però, la situazione è decisamente cambiata grazie all’intervento del legislatore comunitario e, soprattutto, al contributo decisivo della giurisprudenza della Corte di giustizia. Anzitutto, a partire dalla fine degli anni sessanta, il legislatore si è preoccupato di completare i divieti di discriminazione previsti dai Trattati attraverso atti di diritto derivato, che ne hanno precisato il contenuto e ampliato notevolmente la portata. Inoltre, avvalendosi della nuova base giuridica introdotta dal Trattato di Amsterdam all’art. 13 TCE (divenuto ora, art. 19 TFUE), a partire dal 1999 il legislatore ha elaborato e poi adottato nuovi atti per il contrasto di forme di discriminazione in origine non considerate dall’ordinamento comunitario. Non c’è dubbio che, da un punto di vista più generale e di sistema, il maggior contributo in materia sia stato apportato dalla Corte di giustizia, la cui giurisprudenza ha spesso anticipato i risultati poi codificati dal legislatore. In effetti, la Corte ha proceduto a una maggior articolazione della nozione di discriminazione, e poi a un’interpretazione estensiva dei divieti esistenti, per giungere, infine, al riconoscimento dell’esistenza di un vero e proprio principio generale di eguaglianza. Il lavoro dimostra che nel sistema giuridico dell’Unione – accanto ai singoli divieti previsti espressamente dai Trattati e dagli atti di diritto derivato – esiste una regola di eguaglianza, non scritta e di autonoma portata generale, che si colloca tra le fonti primarie dell’ordinamento. Il lavoro sostiene altresì la tesi che detto principio generale dispone di efficacia diretta, sia orizzontale che verticale. Tale regola generale trova applicazione in tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione. Detta regola è stata da ultimo codificata agli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali.

Eguaglianza e non discriminazione nell’Unione europea: dai singoli divieti al principio generale

SPITALERI, FABIO
2011-01-01

Abstract

Il contributo è dedicato al principio generale di eguaglianza. Esso espone i passaggi fondamentali della legislazione e della giurisprudenza comunitaria, che hanno portato all’affermazione di tale principio e, in seguito, alla sua codificazione nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’esposizione parte dalla premessa – ben nota – che, in origine, i Trattati non contenevano un riconoscimento espresso e generale del principio di eguaglianza, ma specifici divieti di discriminazione, che perseguivano lo scopo fondamentale, ma ben circoscritto, della costruzione del mercato comune (si trattava del divieto di discriminazioni in base alla nazionalità, del divieto di discriminazioni salariali di genere e, infine, del divieto di discriminazioni tra produttori e tra consumatori nell’ambito delle organizzazioni comuni dei mercati agricoli). Ben presto, però, la situazione è decisamente cambiata grazie all’intervento del legislatore comunitario e, soprattutto, al contributo decisivo della giurisprudenza della Corte di giustizia. Anzitutto, a partire dalla fine degli anni sessanta, il legislatore si è preoccupato di completare i divieti di discriminazione previsti dai Trattati attraverso atti di diritto derivato, che ne hanno precisato il contenuto e ampliato notevolmente la portata. Inoltre, avvalendosi della nuova base giuridica introdotta dal Trattato di Amsterdam all’art. 13 TCE (divenuto ora, art. 19 TFUE), a partire dal 1999 il legislatore ha elaborato e poi adottato nuovi atti per il contrasto di forme di discriminazione in origine non considerate dall’ordinamento comunitario. Non c’è dubbio che, da un punto di vista più generale e di sistema, il maggior contributo in materia sia stato apportato dalla Corte di giustizia, la cui giurisprudenza ha spesso anticipato i risultati poi codificati dal legislatore. In effetti, la Corte ha proceduto a una maggior articolazione della nozione di discriminazione, e poi a un’interpretazione estensiva dei divieti esistenti, per giungere, infine, al riconoscimento dell’esistenza di un vero e proprio principio generale di eguaglianza. Il lavoro dimostra che nel sistema giuridico dell’Unione – accanto ai singoli divieti previsti espressamente dai Trattati e dagli atti di diritto derivato – esiste una regola di eguaglianza, non scritta e di autonoma portata generale, che si colloca tra le fonti primarie dell’ordinamento. Il lavoro sostiene altresì la tesi che detto principio generale dispone di efficacia diretta, sia orizzontale che verticale. Tale regola generale trova applicazione in tutte le situazioni che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione. Detta regola è stata da ultimo codificata agli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali.
2011
9788863422580
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