Si propone una lettura critica di due romanzi di Luigi Rapuzzi, pubblicati tra 1952 e 1955 in "Urania" sotto lo pseudonimo di L. R. Johannis e accomunati da una medesima, peculiare cornice narrativa - C'era una volta un pianeta... ("Urania" n. 41, 20 aprile '54) e Quando ero “aborigeno” (n. 110, 22 dicembre '55). Le due opere, ambientate in un remoto passato, in cui il sistema solare acquisì l'assetto che conosciamo e l'uomo stesso trovò la propria origine, si distinguono per la particolare accuratezza nella costruzione di una finzione di verisimiglianza, ottenuta dall'autore implicito (che scrive in un lontanissimo futuro rispetto al presente del lettore) mediante la citazione di fonti fittizie come i microfilms dell'archivio dell'immaginario pianeta Arg-1. L'inserzione di note e appendici esplicative, frammenti di memorie, mappe, spiegazioni, descrizioni tecniche e storiche, trova la sua motivazione profonda nell'afflato argomentativo e a tratti pedagogico da cui dipendono i principali punti di forza e di debolezza della narrazione: una finzione di verisimiglianza estremamente riuscita e del tutto originale, ma non accompagnata dalla presenza di protagonisti in grado di catalizzare l'attenzione del lettore, le cui vicende singolari risultino narrativamente coinvolgenti (come si potrà dimostrare anche avvelondosi del confronto con altre prove dello stesso autore). All'anima saggistica della scrittura manca in buona misura il contraltare di un'affabulazione altrettanto forte, anche considerando la sede editoriale e dunque il pubblico ideale che queste opere potevano aspirare a conquistare. A Rapuzzi va riconosciuto il merito di una scrittura efficace e di una scelta tematica decisamente originale, tanto da fondare, in Italia, il filone della fantascienza cosiddetta archeologica, ambientata tra le civiltà scomparse e nelle epoche più remote della Terra.
Archivi di finzione e costruzione del patto narrativo nei romanzi di Luigi Rapuzzi. Un autore di fantascienza italiano nell'“Urania” degli anni Cinquanta
IANNUZZI, GIULIA
2013-01-01
Abstract
Si propone una lettura critica di due romanzi di Luigi Rapuzzi, pubblicati tra 1952 e 1955 in "Urania" sotto lo pseudonimo di L. R. Johannis e accomunati da una medesima, peculiare cornice narrativa - C'era una volta un pianeta... ("Urania" n. 41, 20 aprile '54) e Quando ero “aborigeno” (n. 110, 22 dicembre '55). Le due opere, ambientate in un remoto passato, in cui il sistema solare acquisì l'assetto che conosciamo e l'uomo stesso trovò la propria origine, si distinguono per la particolare accuratezza nella costruzione di una finzione di verisimiglianza, ottenuta dall'autore implicito (che scrive in un lontanissimo futuro rispetto al presente del lettore) mediante la citazione di fonti fittizie come i microfilms dell'archivio dell'immaginario pianeta Arg-1. L'inserzione di note e appendici esplicative, frammenti di memorie, mappe, spiegazioni, descrizioni tecniche e storiche, trova la sua motivazione profonda nell'afflato argomentativo e a tratti pedagogico da cui dipendono i principali punti di forza e di debolezza della narrazione: una finzione di verisimiglianza estremamente riuscita e del tutto originale, ma non accompagnata dalla presenza di protagonisti in grado di catalizzare l'attenzione del lettore, le cui vicende singolari risultino narrativamente coinvolgenti (come si potrà dimostrare anche avvelondosi del confronto con altre prove dello stesso autore). All'anima saggistica della scrittura manca in buona misura il contraltare di un'affabulazione altrettanto forte, anche considerando la sede editoriale e dunque il pubblico ideale che queste opere potevano aspirare a conquistare. A Rapuzzi va riconosciuto il merito di una scrittura efficace e di una scelta tematica decisamente originale, tanto da fondare, in Italia, il filone della fantascienza cosiddetta archeologica, ambientata tra le civiltà scomparse e nelle epoche più remote della Terra.Pubblicazioni consigliate
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