Il saggio fa parte del volume La vittoria senza pace. Le occupazioni militari italiane alla fine della Grande Guerra, curato dal medesimo autore, nel cui ambito analizza la situazione nella regione adriatica. Il testo è diviso in sottocapitoli: 1. Arrivano i nostri - 2. Emergenze - 3. Crisi economica - 4. Sostenere gli italiani - 5. Contenere gli slavi - 6. Governatori e vescovi - 7. La parabola socialista - 8. Ordine pubblico e piani di guerra. Per un verso, il contributo esamina i problemi del dopoguerra nelle diverse aree dell'Adriatico orientale sottoposto ad occupazione italiana: Venezia Giulia e Dalmazia, ma anche Fiume, dove la presenza militare italiana - se pur non esclusiva - risultava preponderante. Le emergenze del momento vengono collegate a questioni di più lungo periodo (come i conflitti nazionali), nonché ai nuovi scenari aperti dal collasso dell'Impero asburgico. Sull'altro versante, il saggio si sofferma sulle strategie adottate dalle amministrazioni militari, non sempre in sintonia fra loro. Ben chiara ad esempio risulta la differenza tra la politica di "integrazione liberale" promossa dal Governatore della Venezia Giulia Petitti di Roreto e l'atteggiamento invece dell'ammiraglio Cagni a Pola e - soprattutto - del Governatore della Dalmazia, ammiraglio Millo, entrambi assai vicini alle istanze nazionaliste più estreme. Sulla politica di Millo peraltro, in particolare per quanto riguarda i suoi rapporti con D'Annunzio, l'autore esprime una valutazione complessiva più articolata rispetto ai giudizi correnti. La condotta di Petitti di Roreto, pur espressione di un potere militare di per sé autoritario ed assai geloso delle sue prerogative, suggerisce che quella offerta dall'amministrazione militare sia stata in fondo l'immagine più liberale che lo Stato italiano seppe mostrare alle popolazioni delle terre annesse: una politica di integrazione senza sbandamenti ma nel contempo attenta alle diversità di tradizioni nazionali e politiche presenti in un'area fortemente plurale, i cui pregi risaltano di fronte alla fragilità della successiva amministrazione civile, succube ad esigenze di consenso ed aperta alle collusioni con il montante squadrismo, per non dire poi del potere fascista, nazionalmente e politicamente intollerante. Nel contempo, emergono ben chiari i limiti della politica del Governatore, simile a quella nel contempo avviata dal suo omologo Pecori Girardi a Trento: in primo luogo, l'impossibilità di intervenire sul nodo cruciale del destino economico dell'area alto-adriatica, sconvolto dalla fuoriuscita dal nesso imperiale; poi, le contraddizioni interne alla stessa amministrazione militare, dovute non solo all'azione nettamente divergente degli ammiragli Cagni e Millo, ma anche al sabotaggio della linea moderata del Governatore operato da alcuni suoi collaboratori ed in particolare dal servizio di informazioni, completamente colluso con le organizzazioni nazionaliste. Ancora, l'incapacità di ottenere il consenso delle principali forze politiche presenti sul territorio: i liberali italiani, in piena crisi di identità; i socialisti, in fase di rapida radicalizzazione; i nazionalisti sloveni, insoddisfatti di un'offerta politica che comunque si fondava sull'annessione all'Italia e su di una prospettiva di - se pur morbida - assimilazione; i nazionalisti, proiettati verso un'affermazione intransigente dell'italianità. Fallì quindi il progetto di Petitti consegnare all'Italia un sistema politico fondato sulla prevalenza delle forza nazionali - liberali e sulla collaborazione di un partito socialista disponibile ad inserire la propria tradizione riformista nell'alveo istituzionale del Regno d'Italia. La ricomposizione delle forze filo-italiane sarebbe avvenuta solo dopo la partenza del Governatore ed attorno ad un soggetto politico inedito, il fascismo di confine. Conclusivamente, il saggio si ricollega alle considerazioni di politica estera svolte nell'introduzione e poi riprese dai tre autori alla fine del volume, discutendo delle prospettive di una guerra preventiva al Regno SHS e, più in generale, dei piani militari approntati fra il 1918 e il 1920, in relazione all'evoluzione vuoi della situazione internazionale, vuoi della controversa smobilitazione post-bellica. Per scelta dell'editore, nel testo l'apparato critico è stato limitato ai soli rimandi delle citazioni, nonché ad alcune brevi note esplicative. A fine libro invece sono disponibili un'ampia bibliografia tematica, una rassegna delle fonti utilizzate ed un'appendice cartografica.

Attorno all'Adriatico: Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia

PUPO, RAOUL
2014-01-01

Abstract

Il saggio fa parte del volume La vittoria senza pace. Le occupazioni militari italiane alla fine della Grande Guerra, curato dal medesimo autore, nel cui ambito analizza la situazione nella regione adriatica. Il testo è diviso in sottocapitoli: 1. Arrivano i nostri - 2. Emergenze - 3. Crisi economica - 4. Sostenere gli italiani - 5. Contenere gli slavi - 6. Governatori e vescovi - 7. La parabola socialista - 8. Ordine pubblico e piani di guerra. Per un verso, il contributo esamina i problemi del dopoguerra nelle diverse aree dell'Adriatico orientale sottoposto ad occupazione italiana: Venezia Giulia e Dalmazia, ma anche Fiume, dove la presenza militare italiana - se pur non esclusiva - risultava preponderante. Le emergenze del momento vengono collegate a questioni di più lungo periodo (come i conflitti nazionali), nonché ai nuovi scenari aperti dal collasso dell'Impero asburgico. Sull'altro versante, il saggio si sofferma sulle strategie adottate dalle amministrazioni militari, non sempre in sintonia fra loro. Ben chiara ad esempio risulta la differenza tra la politica di "integrazione liberale" promossa dal Governatore della Venezia Giulia Petitti di Roreto e l'atteggiamento invece dell'ammiraglio Cagni a Pola e - soprattutto - del Governatore della Dalmazia, ammiraglio Millo, entrambi assai vicini alle istanze nazionaliste più estreme. Sulla politica di Millo peraltro, in particolare per quanto riguarda i suoi rapporti con D'Annunzio, l'autore esprime una valutazione complessiva più articolata rispetto ai giudizi correnti. La condotta di Petitti di Roreto, pur espressione di un potere militare di per sé autoritario ed assai geloso delle sue prerogative, suggerisce che quella offerta dall'amministrazione militare sia stata in fondo l'immagine più liberale che lo Stato italiano seppe mostrare alle popolazioni delle terre annesse: una politica di integrazione senza sbandamenti ma nel contempo attenta alle diversità di tradizioni nazionali e politiche presenti in un'area fortemente plurale, i cui pregi risaltano di fronte alla fragilità della successiva amministrazione civile, succube ad esigenze di consenso ed aperta alle collusioni con il montante squadrismo, per non dire poi del potere fascista, nazionalmente e politicamente intollerante. Nel contempo, emergono ben chiari i limiti della politica del Governatore, simile a quella nel contempo avviata dal suo omologo Pecori Girardi a Trento: in primo luogo, l'impossibilità di intervenire sul nodo cruciale del destino economico dell'area alto-adriatica, sconvolto dalla fuoriuscita dal nesso imperiale; poi, le contraddizioni interne alla stessa amministrazione militare, dovute non solo all'azione nettamente divergente degli ammiragli Cagni e Millo, ma anche al sabotaggio della linea moderata del Governatore operato da alcuni suoi collaboratori ed in particolare dal servizio di informazioni, completamente colluso con le organizzazioni nazionaliste. Ancora, l'incapacità di ottenere il consenso delle principali forze politiche presenti sul territorio: i liberali italiani, in piena crisi di identità; i socialisti, in fase di rapida radicalizzazione; i nazionalisti sloveni, insoddisfatti di un'offerta politica che comunque si fondava sull'annessione all'Italia e su di una prospettiva di - se pur morbida - assimilazione; i nazionalisti, proiettati verso un'affermazione intransigente dell'italianità. Fallì quindi il progetto di Petitti consegnare all'Italia un sistema politico fondato sulla prevalenza delle forza nazionali - liberali e sulla collaborazione di un partito socialista disponibile ad inserire la propria tradizione riformista nell'alveo istituzionale del Regno d'Italia. La ricomposizione delle forze filo-italiane sarebbe avvenuta solo dopo la partenza del Governatore ed attorno ad un soggetto politico inedito, il fascismo di confine. Conclusivamente, il saggio si ricollega alle considerazioni di politica estera svolte nell'introduzione e poi riprese dai tre autori alla fine del volume, discutendo delle prospettive di una guerra preventiva al Regno SHS e, più in generale, dei piani militari approntati fra il 1918 e il 1920, in relazione all'evoluzione vuoi della situazione internazionale, vuoi della controversa smobilitazione post-bellica. Per scelta dell'editore, nel testo l'apparato critico è stato limitato ai soli rimandi delle citazioni, nonché ad alcune brevi note esplicative. A fine libro invece sono disponibili un'ampia bibliografia tematica, una rassegna delle fonti utilizzate ed un'appendice cartografica.
2014
978-88-581-1181-9
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