Fu forse grazie alla predisposizione esegetico-allegorica, tipica di Alessandria, che si affermò una soteriologia remissoria, posta all’interno di una categoria giuridico-economica che vedeva nella redenzione/remissione del debito una delle letture possibili della cristologia e della sua tradizione paolina. Grazie a questo trasferimento, i Padri, specialmente i Padri greci, elaborarono una teologia dell’economia della salvezza accogliendo la figura del santo visto come perfetta imitatio Christi, protagonista di un sacrifico in grado di acquistare una futura redenzione. E’ in questo contesto “economico” che si sviluppa il monachesimo, a partire dal IV secolo, come sostitutivo del martirio. L’aspettativa era spirituale, le opere per renderla possibile molto concrete e poco spirituali. A tale proposito le fonti esaminate sono la Vita di Antonio, le Vite dei monaci Ilarione o la Memoria di Paola, la Storia Lausica di Palladio, gli Apoftègmata Patrum, Giovanni Mosco, Il prato spirituale. I monaci e i monasteri possedevano terre, praticavano attività varie (tessitura, copia di manoscritti, coltivazione e allevamento), gestivano denaro sia individualmente sia attraverso preposti. Testi letterari e fonti archeologiche concorrono nell’indicare guadagni e donativi conteggiati in moneta d’oro (solidi), prestiti in cambio di interessi come pure il pagamento di salari espressi in moneta di rame (nummi e folles). Una potente conferma di questo è nei rinvenimenti monetali effettuati nei monasteri e nei vari insediamenti ad essi collegati. Il monastero sembra sottrarsi al diventare soggetto promotore della moneta come circolante, come strumento precipuo dello scambio, in grado di incentivare la sostituzione simbolica dei valori attraverso il ricorso alla moneta-merce. Contare in solidi, conservare solidi, stabilire prezzi in follis, in moneta di conto da convertire in circolante aveva un fine d’uso che non era quello di attivare il circuito virtuoso del mercato. Si trattava piuttosto di ottenere un quantità di denaro per soddisfare bisogni essenziali soprattutto per rendere possibile un’accumulazione diremmo astratta e sperata, di un credito “invisibile”, anticipazione di un guadagno incalcolabile e salvifico.

Anacoreti e cenobiti in Egitto e Palestina tra IV e VII secolo: l’imprescindibile “far di conto” monetario

CALLEGHER, BRUNO
2016-01-01

Abstract

Fu forse grazie alla predisposizione esegetico-allegorica, tipica di Alessandria, che si affermò una soteriologia remissoria, posta all’interno di una categoria giuridico-economica che vedeva nella redenzione/remissione del debito una delle letture possibili della cristologia e della sua tradizione paolina. Grazie a questo trasferimento, i Padri, specialmente i Padri greci, elaborarono una teologia dell’economia della salvezza accogliendo la figura del santo visto come perfetta imitatio Christi, protagonista di un sacrifico in grado di acquistare una futura redenzione. E’ in questo contesto “economico” che si sviluppa il monachesimo, a partire dal IV secolo, come sostitutivo del martirio. L’aspettativa era spirituale, le opere per renderla possibile molto concrete e poco spirituali. A tale proposito le fonti esaminate sono la Vita di Antonio, le Vite dei monaci Ilarione o la Memoria di Paola, la Storia Lausica di Palladio, gli Apoftègmata Patrum, Giovanni Mosco, Il prato spirituale. I monaci e i monasteri possedevano terre, praticavano attività varie (tessitura, copia di manoscritti, coltivazione e allevamento), gestivano denaro sia individualmente sia attraverso preposti. Testi letterari e fonti archeologiche concorrono nell’indicare guadagni e donativi conteggiati in moneta d’oro (solidi), prestiti in cambio di interessi come pure il pagamento di salari espressi in moneta di rame (nummi e folles). Una potente conferma di questo è nei rinvenimenti monetali effettuati nei monasteri e nei vari insediamenti ad essi collegati. Il monastero sembra sottrarsi al diventare soggetto promotore della moneta come circolante, come strumento precipuo dello scambio, in grado di incentivare la sostituzione simbolica dei valori attraverso il ricorso alla moneta-merce. Contare in solidi, conservare solidi, stabilire prezzi in follis, in moneta di conto da convertire in circolante aveva un fine d’uso che non era quello di attivare il circuito virtuoso del mercato. Si trattava piuttosto di ottenere un quantità di denaro per soddisfare bisogni essenziali soprattutto per rendere possibile un’accumulazione diremmo astratta e sperata, di un credito “invisibile”, anticipazione di un guadagno incalcolabile e salvifico.
2016
978-88-95368-25-2
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