Ispirato a una pluralità di norme precedenti di natura sia programmatica che precettiva, l’art. 23, c. 1, della Carta riunisce in sé le diverse dimensioni — di valore fondamentale, di obiettivo generale delle politiche dell’Unione e di divieto di discriminazioni — che il principio della parità tra i sessi assume nel diritto dell’Unione europea. Anzitutto, la parità tra donne e uomini è un valore fondamentale dell’Unione, condiviso da tutti gli Stati membri. In origine, detto principio presentava una connotazione economica importante, essendo configurato nei Trattati come uno strumento funzionale agli obiettivi di tipo economico che — nella prospettiva di un’integrazione politica — gli Stati membri avevano deciso di perseguire con la creazione della CEE. In particolare, la parità retributiva tra i sessi era un elemento indispensabile per la rimozione di quelle pratiche salariali discriminatorie in precedenza consentite in alcuni Stati membri i quali, in tal modo, concedevano alle loro imprese un indebito vantaggio concorrenziale. Progressivamente, sotto l’impulso della giurisprudenza della Corte di giustizia e dei numerosi atti di diritto derivato adottati dal legislatore dell’Unione (in particolare, per il contrasto delle discriminazioni nei rapporti di lavoro), il principio della parità tra donne e uomini ha progressivamente assunto una preminente connotazione politica e sociale. Inoltre, la parità tra donne e uomini costituisce un obiettivo primario che, come precisa la disposizione in commento, l’Unione deve assicurare « in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione ». In origine l’azione comunitaria si era focalizzata sul contrasto alle discriminazioni nell’ambito dei rapporti di lavoro. Per tale motivo la disposizione in commento cita espressamente l’occupazione, il lavoro e la retribuzione come campi nei quali perseguire la parità di genere. La norma è tuttavia chiara nel disporre che tale obiettivo è trasversale, dovendo contraddistinguere ora tutti i settori di competenza dell’Unione europea. Sotto questo profilo, l’art. 23, c. 1, si ispira alla strategia del gender equality mainstreaming, intesa come necessaria incorporazione dell’obiettivo della parità di genere in tutti gli atti adottati dall’Unione, come pure in quelli approvati dagli Stati membri in attuazione del diritto dell’Unione europea. Infine, la disposizione in commento assume anche un valore precettivo imponendo — al pari dell’art. 21 e in combinato disposto con questo — il divieto di discriminazioni fondate sul sesso. Tale divieto vincola il legislatore dell’Unione, gli Stati membri e i singoli nei loro rapporti. Esso può quindi essere utilizzato come criterio interpretativo delle norme dell’Unione, come parametro di validità degli atti di diritto derivato e come parametro di compatibilità delle norme interne adottate dagli Stati membri, a condizione che quest’ultime ricadano nel campo di applicazione del diritto UE. Dall’affermazione, oramai consolidata in giurisprudenza, secondo la quale il principio generale di eguaglianza gode di efficacia diretta (sia verticale che orizzontale) si può desumere a fortiori che anche il principio della parità tra donne e uomini — cha ha una portata più specifica e che è caratterizzato da un precetto maggiormente definito — può essere invocato dai singoli nei confronti delle autorità statali e nei rapporti orizzontali con altri individui.
La parità tra donne e uomini nel diritto dell’Unione Europea – Commento dell’art. 23.1 della Carta dei diritti fondamentali
SPITALERI, FABIO
2017-01-01
Abstract
Ispirato a una pluralità di norme precedenti di natura sia programmatica che precettiva, l’art. 23, c. 1, della Carta riunisce in sé le diverse dimensioni — di valore fondamentale, di obiettivo generale delle politiche dell’Unione e di divieto di discriminazioni — che il principio della parità tra i sessi assume nel diritto dell’Unione europea. Anzitutto, la parità tra donne e uomini è un valore fondamentale dell’Unione, condiviso da tutti gli Stati membri. In origine, detto principio presentava una connotazione economica importante, essendo configurato nei Trattati come uno strumento funzionale agli obiettivi di tipo economico che — nella prospettiva di un’integrazione politica — gli Stati membri avevano deciso di perseguire con la creazione della CEE. In particolare, la parità retributiva tra i sessi era un elemento indispensabile per la rimozione di quelle pratiche salariali discriminatorie in precedenza consentite in alcuni Stati membri i quali, in tal modo, concedevano alle loro imprese un indebito vantaggio concorrenziale. Progressivamente, sotto l’impulso della giurisprudenza della Corte di giustizia e dei numerosi atti di diritto derivato adottati dal legislatore dell’Unione (in particolare, per il contrasto delle discriminazioni nei rapporti di lavoro), il principio della parità tra donne e uomini ha progressivamente assunto una preminente connotazione politica e sociale. Inoltre, la parità tra donne e uomini costituisce un obiettivo primario che, come precisa la disposizione in commento, l’Unione deve assicurare « in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione ». In origine l’azione comunitaria si era focalizzata sul contrasto alle discriminazioni nell’ambito dei rapporti di lavoro. Per tale motivo la disposizione in commento cita espressamente l’occupazione, il lavoro e la retribuzione come campi nei quali perseguire la parità di genere. La norma è tuttavia chiara nel disporre che tale obiettivo è trasversale, dovendo contraddistinguere ora tutti i settori di competenza dell’Unione europea. Sotto questo profilo, l’art. 23, c. 1, si ispira alla strategia del gender equality mainstreaming, intesa come necessaria incorporazione dell’obiettivo della parità di genere in tutti gli atti adottati dall’Unione, come pure in quelli approvati dagli Stati membri in attuazione del diritto dell’Unione europea. Infine, la disposizione in commento assume anche un valore precettivo imponendo — al pari dell’art. 21 e in combinato disposto con questo — il divieto di discriminazioni fondate sul sesso. Tale divieto vincola il legislatore dell’Unione, gli Stati membri e i singoli nei loro rapporti. Esso può quindi essere utilizzato come criterio interpretativo delle norme dell’Unione, come parametro di validità degli atti di diritto derivato e come parametro di compatibilità delle norme interne adottate dagli Stati membri, a condizione che quest’ultime ricadano nel campo di applicazione del diritto UE. Dall’affermazione, oramai consolidata in giurisprudenza, secondo la quale il principio generale di eguaglianza gode di efficacia diretta (sia verticale che orizzontale) si può desumere a fortiori che anche il principio della parità tra donne e uomini — cha ha una portata più specifica e che è caratterizzato da un precetto maggiormente definito — può essere invocato dai singoli nei confronti delle autorità statali e nei rapporti orizzontali con altri individui.File | Dimensione | Formato | |
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