Il presente contributo cerca di fare il punto su alcuni recenti sviluppi dell'ermeneutica delle arti figurative. Partendo da Gadamer, in anni recenti autori come G. Boehm e G. Figal hanno posto il concetto e l'attività del "mostrare" al centro della semantica e della pragmatica dell'immagine. Già in Gadamer, l'arte è in quanto mostra qualcosa come vero e in quanto mostra se stessa come evento di verità. Ciò significa peraltro che l'arte visiva, in particolare, non produce l'immagine vera del mondo, nel senso di aderente e adeguata, ma libera il carattere figurale del mondo conferendo all'immagine stessa la capacità di raffigurarlo in maniera inedita, inconsueta, imprevista e, per questo, vera. In Boehm e Figal il motivo del "mostrare" perde l'originaria impronta rivelativa, che aveva in Gadamer; in essi si afferma sempre più la matrice deittica del mostrare, legata alla gestualità e alla dimensione pragmatica del linguaggio. In Boehm, in particolare, prevale l'aspetto del mostrare come indicare, quindi come una vera e propria azione riferibile al modo di venirci incontro dell'immagine, che può per questo sottolineare, esaltare, evidenziare o viceversa accennare, alludere, glissare. A prevalere sono dunque gli aspetti retorici dell'immagine. In Figal, il mostrare iconico diventa invece un esibire, in cui l'azione è ridotta al minimo. Tutto quello che hanno da mostrare, le immagini lo esibiscono nel senso di lasciarlo soltanto vedere. In questo nuovo corso intrapreso dal mostrare, senza più l'impegno di descrivere un processo ontologico (come accadeva in Gadamer), l'analisi dell'immagine si apre a nuove implicazioni tra fenomenologia ed ermeneutica.

Ciò che si mostra, ciò che appare. Su alcune recenti discussioni (tra ermeneutica e fenomenologia) in materia di immagini.

MONALDI, MARCELLO
2016-01-01

Abstract

Il presente contributo cerca di fare il punto su alcuni recenti sviluppi dell'ermeneutica delle arti figurative. Partendo da Gadamer, in anni recenti autori come G. Boehm e G. Figal hanno posto il concetto e l'attività del "mostrare" al centro della semantica e della pragmatica dell'immagine. Già in Gadamer, l'arte è in quanto mostra qualcosa come vero e in quanto mostra se stessa come evento di verità. Ciò significa peraltro che l'arte visiva, in particolare, non produce l'immagine vera del mondo, nel senso di aderente e adeguata, ma libera il carattere figurale del mondo conferendo all'immagine stessa la capacità di raffigurarlo in maniera inedita, inconsueta, imprevista e, per questo, vera. In Boehm e Figal il motivo del "mostrare" perde l'originaria impronta rivelativa, che aveva in Gadamer; in essi si afferma sempre più la matrice deittica del mostrare, legata alla gestualità e alla dimensione pragmatica del linguaggio. In Boehm, in particolare, prevale l'aspetto del mostrare come indicare, quindi come una vera e propria azione riferibile al modo di venirci incontro dell'immagine, che può per questo sottolineare, esaltare, evidenziare o viceversa accennare, alludere, glissare. A prevalere sono dunque gli aspetti retorici dell'immagine. In Figal, il mostrare iconico diventa invece un esibire, in cui l'azione è ridotta al minimo. Tutto quello che hanno da mostrare, le immagini lo esibiscono nel senso di lasciarlo soltanto vedere. In questo nuovo corso intrapreso dal mostrare, senza più l'impegno di descrivere un processo ontologico (come accadeva in Gadamer), l'analisi dell'immagine si apre a nuove implicazioni tra fenomenologia ed ermeneutica.
2016
9788857539522
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