Neutralità e guerra sono argomenti che, quasi naturalmente, rimandano all'alta politica: le decisioni degli Stati e le loro affermazioni di potenza, il lavorio delle diplomazie, i trattati, gli editti e i proclami. Un insieme di pratiche guidate e accompagnate dall'elaborazione politica e teorica di statisti e pensatori. Questo anche nel Settecento, quando gli Stati si irrobustivano ed esprimevano pretese sempre maggiori per disciplinamento di spazi e uomini, per volontà di dominio, per capacità di mobilitazione e militari e quindi anche per il controllo delle economie. Pretese che, però, dovevano fare pure i conti col fatto di non disporre ancora degli strumenti tecnologici che le consentissero di avverarsi appieno. Nel quadro di tale 'impotenza', forse propria di ogni fase di globalizzazione, si situavano i mercantilismi settecenteschi, fondati sull'idea del commercio attivo e del mercante patriota come strumento dell'arricchimento dello Stato. Un arricchimento volto al raggiungimento della felicità dei sudditi e, soprattutto, allo sviluppo delle capacità militari dello Stato in una fase in cui si rafforzano le idee di dominio dell'Europa sugli spazi globali e i mari diventano elemento strategico delle competizioni. Il Settecento, infatti, si presenta come un secolo globale in cui le reti facevano aggio sui confini e i commerci e le relazioni da esse tracciate, aumentando per dimensioni, volume e frequenza, apparivano come assoluti protagonisti; questo pure per la loro capacità, in stretta connessione con la finanza, di consentire arricchimenti più veloci e per essere in grado di mettere a disposizione degli Stati ricchezze più flessibili e quindi di rispondere ai picchi del fabbisogno. Se i traffici mercantili erano aumentati per volume, frequenza ed estensione, soprattutto, erano diventati determinanti per la tenuta dell'intero sistema nei suoi aspetti economici, finanziari e pure militari. Non era, quindi, possibile fermarlo e la possibilità stessa di fare la guerra dipendeva dalla capacità di non interrompere, oltre limiti precisi di sostenibilità anche temporali, il complesso e fluido meccanismo dei commerci. Nel frattempo gli stati esprimevano pretese più ambiziose nel controllo e organizzazione degli spazi, nella gestione delle economie e dei commerci, e nel controllo su pratiche e uomini, ad esempio imponendo più stringenti omogeneità, come nella composizione degli equipaggi. Queste pretese trovavano concretezza in un'enorme produzione di diritto positivo che, per i limiti tecnici già ricordati e per la complessità del sistema, trovava difficilissima attuazione. Inoltre, come accade in particolare nei secoli caratterizzati da processi di globalizzazione gli spazi reali sono pieni relazioni, interstizi e sovrapposizioni che li rendono sfuggenti a controlli e gerarchizzazioni. Proprio questa dimensione sistemica consente di non pensare gli spazi disposti in gerarchie verticali, anche tra Oceano e Mediterraneo, ma come un insieme fluido e strettamente interconnesso, anche se con snodi principali e poteri prevalenti e spesso connessi da un fittissimo intreccio di rotte 'segmentarie'. La neutralità e le pratiche a essa connesse si propongono, quindi, quale punto di osservazione privilegiato di analisi per comprenderne i modi di funzionamento, anche per quanto concerne i traffici commerciali. Il periodo di osservazione scelto è, appunto, quello della Guerra di indipendenza americana.

Strategie neutrali. Stati, commercio e neutralità tra Mediterraneo e Oceani nella seconda metà del '700

ANDREOZZI, DANIELE
2017-01-01

Abstract

Neutralità e guerra sono argomenti che, quasi naturalmente, rimandano all'alta politica: le decisioni degli Stati e le loro affermazioni di potenza, il lavorio delle diplomazie, i trattati, gli editti e i proclami. Un insieme di pratiche guidate e accompagnate dall'elaborazione politica e teorica di statisti e pensatori. Questo anche nel Settecento, quando gli Stati si irrobustivano ed esprimevano pretese sempre maggiori per disciplinamento di spazi e uomini, per volontà di dominio, per capacità di mobilitazione e militari e quindi anche per il controllo delle economie. Pretese che, però, dovevano fare pure i conti col fatto di non disporre ancora degli strumenti tecnologici che le consentissero di avverarsi appieno. Nel quadro di tale 'impotenza', forse propria di ogni fase di globalizzazione, si situavano i mercantilismi settecenteschi, fondati sull'idea del commercio attivo e del mercante patriota come strumento dell'arricchimento dello Stato. Un arricchimento volto al raggiungimento della felicità dei sudditi e, soprattutto, allo sviluppo delle capacità militari dello Stato in una fase in cui si rafforzano le idee di dominio dell'Europa sugli spazi globali e i mari diventano elemento strategico delle competizioni. Il Settecento, infatti, si presenta come un secolo globale in cui le reti facevano aggio sui confini e i commerci e le relazioni da esse tracciate, aumentando per dimensioni, volume e frequenza, apparivano come assoluti protagonisti; questo pure per la loro capacità, in stretta connessione con la finanza, di consentire arricchimenti più veloci e per essere in grado di mettere a disposizione degli Stati ricchezze più flessibili e quindi di rispondere ai picchi del fabbisogno. Se i traffici mercantili erano aumentati per volume, frequenza ed estensione, soprattutto, erano diventati determinanti per la tenuta dell'intero sistema nei suoi aspetti economici, finanziari e pure militari. Non era, quindi, possibile fermarlo e la possibilità stessa di fare la guerra dipendeva dalla capacità di non interrompere, oltre limiti precisi di sostenibilità anche temporali, il complesso e fluido meccanismo dei commerci. Nel frattempo gli stati esprimevano pretese più ambiziose nel controllo e organizzazione degli spazi, nella gestione delle economie e dei commerci, e nel controllo su pratiche e uomini, ad esempio imponendo più stringenti omogeneità, come nella composizione degli equipaggi. Queste pretese trovavano concretezza in un'enorme produzione di diritto positivo che, per i limiti tecnici già ricordati e per la complessità del sistema, trovava difficilissima attuazione. Inoltre, come accade in particolare nei secoli caratterizzati da processi di globalizzazione gli spazi reali sono pieni relazioni, interstizi e sovrapposizioni che li rendono sfuggenti a controlli e gerarchizzazioni. Proprio questa dimensione sistemica consente di non pensare gli spazi disposti in gerarchie verticali, anche tra Oceano e Mediterraneo, ma come un insieme fluido e strettamente interconnesso, anche se con snodi principali e poteri prevalenti e spesso connessi da un fittissimo intreccio di rotte 'segmentarie'. La neutralità e le pratiche a essa connesse si propongono, quindi, quale punto di osservazione privilegiato di analisi per comprenderne i modi di funzionamento, anche per quanto concerne i traffici commerciali. Il periodo di osservazione scelto è, appunto, quello della Guerra di indipendenza americana.
2017
9788883038303
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11368/2909419
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