Il contributo proposto da Marco Cossutta, La difesa dell’alterità. Possibili lineamenti di un diritto anarchico a partire da Errico Malatesta e la questione criminale, si ricollega idealmente ad un suo precedente lavoro pubblicato in codesta collana. In quest’ultimo veniva indagata, avuto riguardo alle declinazioni dei concetti di soggetto, identità ed alterità, la profonda differenza che separa, a detta dell’autore, la prospettiva anarchica (segnatamente quella bakuniniana) da quella liberale, qui l’attenzione si concentra, come si evince dalla titolazione, sulla valorizzazione e, soprattutto, sulla difesa dell’alterità in un contesto sociale, quale è quello ipotizzato dal pensiero anarchico, privo dell’ente pubblico Stato. Prima di entrare nello specifico del tema analizzando la prospettiva malatestiana intorno alla questione criminale, Cossutta tratteggia i contorni di una possibile prospettiva giuridica anarchica incentrata su tra momenti fondanti: la regolarità (comportamenti regolari riscontrabili nella prassi sociale e informati dagli interessi e dei valori ivi operanti), la autonomia (la capacità autoregolamentativa dei soggetti sociali), ed infine il libero accordo attraverso il quale si manifesta la capacita autoregolamentativa dei consociati. Come rileva l’autore, in una prospettiva anarchica” “ad un diritto statuale (legge) si oppone un diritto di formazione sociale, ad una fonte legislativa accentrata un insieme – diffuso – di fonti operanti nella società: in quanto la fonte regolamentativa è espressione di quegli stessi rapporti che necessitano di regolamentazione”. Infatti, è dal rapporto dialettico fra i consociati – in proposito viene fatto esplicito richiamo agli éndoxa della tradizione retorica classica – che sorge la regolamentazione giuridica, un diritto caratterizzato dal riconoscimento del valore positivo dell’alterità (tutto ciò in antitesi alla prospettiva di matrice liberale e kantiana che vede, all’incontrario, il diritto quale tecnica sociale tendente alla pacifica convivenza degli arbitrî individuali). La prospettiva giuridica qui tratteggia è fortemente valutativa; è avuto riguardo alla valorizzazione dell’alterità che le regole giuridiche vengono valutate. L’analisi dei testi malatestiani qui proposta demistifica un luogo comune ben radicato nella dottrina politico-giuridica: l’avversione dell’anarchismo ad ogni forma di regola sociale, quindi anche al diritto. La lettura dei testi redatti dal pensatore anarchico italiano dimostra con chiarezza come lo stesso non solo propugni una forma di regolamentazione giuridica della società, ma anche ritenga che ogni fenomeno antisociale vada (giuridicamente) represso. Per Malatesta è la negazione dell’alterità che costituisce il fatto antisociale, quindi delinquenziale, da reprimere. Secondo Cossutta “l’antisocialità del fatto va desunta dall’offesa arrecata alla libertà ed all’uguaglianza altrui, poiché tale atteggiamento contravviene il dovere sociale dell’essere umano, ovvero del soggetto nel suo rapporto con l’altro”. Interessante constatare come lo stesso Malatesta, che si inserisce nell’alveo della Scuola positiva promossa dal penalista Enrico Ferri, distingua fra reati che, “in quanto lesivi di valori universalmente condivisi e fondanti il vivere umano, sono di immediato riconoscimento ed esecrazione da parte dei consociali, e reati, la cui determinazione è invece ancorata all’opinione corrente nella comunità”; ancora una volta risulta centrale il richiamo degli éndoxa nella determinazione della tipologia di reato in un quadro teorico che non rifulge affatto dal problema del diritto. Certo, come evidenzia Cossutta, le proposte malatestiane appaiono a prima vista fortemente deficitarie da un punto di vista prettamente operativo (rifiuto di un corpo professionale di pubblica sicurezza, rifiuto organi giudicanti istituiti, un latente richiamo allo spontaneismo nella amministrazione della giustizia e così via), tanto da presumere che la difesa dell’alterità sia lasciata in balia di una sorte di “facilonismo irresponsabile”. Pur tuttavia, l’autore riconoscendo come l’anarchismo non è prospettiva prettamente teorica, piuttosto teoretica (“l’anarchismo è, anzitutto, incedere dialettico. È una prospettiva politica che si fonda non tanto su assiomi teorici – da cui le ipotesi che danno vita allo sviluppo delle ideologie –, quanto, poiché an-archica, sul tutto domandare – da cui la filosofia”), ritiene che tale modo di procedere risulti del tutto coerente con un incedere an-anarchico. Nello specifico giuridico si rileva come “solo coloro che vivono (anche indirettamente) il problema possono sullo stesso dire e contraddire, perché il problema ritroverà soluzione a partire dal problema stesso nel suo concreto manifestarsi e non per mezzo di astratte, in quanto ante-poste, direttive lungo le quali ricondurlo semplificandone la complessità al fine di preventivamente dominarlo con una risposta autoritativa, perché scaturente da assiomi generali e prefissati (che prevedono una soluzione operativa per ogni problema già prima che questo sia concretamente sorto)”. In definitiva, come evidenziato da Cossutta, ci troviamo di fronte ad una prospettiva che vede nel riconoscimento e nella valorizzazione dell’alterità, del rapporto con l’altro, il fulcro su cui dispiegarsi dialetticamente.
La difesa dell'alterità. Possibili lineamenti di un diritto anarchico a partire da Errico Malatesta
Marco Cossutta
2017-01-01
Abstract
Il contributo proposto da Marco Cossutta, La difesa dell’alterità. Possibili lineamenti di un diritto anarchico a partire da Errico Malatesta e la questione criminale, si ricollega idealmente ad un suo precedente lavoro pubblicato in codesta collana. In quest’ultimo veniva indagata, avuto riguardo alle declinazioni dei concetti di soggetto, identità ed alterità, la profonda differenza che separa, a detta dell’autore, la prospettiva anarchica (segnatamente quella bakuniniana) da quella liberale, qui l’attenzione si concentra, come si evince dalla titolazione, sulla valorizzazione e, soprattutto, sulla difesa dell’alterità in un contesto sociale, quale è quello ipotizzato dal pensiero anarchico, privo dell’ente pubblico Stato. Prima di entrare nello specifico del tema analizzando la prospettiva malatestiana intorno alla questione criminale, Cossutta tratteggia i contorni di una possibile prospettiva giuridica anarchica incentrata su tra momenti fondanti: la regolarità (comportamenti regolari riscontrabili nella prassi sociale e informati dagli interessi e dei valori ivi operanti), la autonomia (la capacità autoregolamentativa dei soggetti sociali), ed infine il libero accordo attraverso il quale si manifesta la capacita autoregolamentativa dei consociati. Come rileva l’autore, in una prospettiva anarchica” “ad un diritto statuale (legge) si oppone un diritto di formazione sociale, ad una fonte legislativa accentrata un insieme – diffuso – di fonti operanti nella società: in quanto la fonte regolamentativa è espressione di quegli stessi rapporti che necessitano di regolamentazione”. Infatti, è dal rapporto dialettico fra i consociati – in proposito viene fatto esplicito richiamo agli éndoxa della tradizione retorica classica – che sorge la regolamentazione giuridica, un diritto caratterizzato dal riconoscimento del valore positivo dell’alterità (tutto ciò in antitesi alla prospettiva di matrice liberale e kantiana che vede, all’incontrario, il diritto quale tecnica sociale tendente alla pacifica convivenza degli arbitrî individuali). La prospettiva giuridica qui tratteggia è fortemente valutativa; è avuto riguardo alla valorizzazione dell’alterità che le regole giuridiche vengono valutate. L’analisi dei testi malatestiani qui proposta demistifica un luogo comune ben radicato nella dottrina politico-giuridica: l’avversione dell’anarchismo ad ogni forma di regola sociale, quindi anche al diritto. La lettura dei testi redatti dal pensatore anarchico italiano dimostra con chiarezza come lo stesso non solo propugni una forma di regolamentazione giuridica della società, ma anche ritenga che ogni fenomeno antisociale vada (giuridicamente) represso. Per Malatesta è la negazione dell’alterità che costituisce il fatto antisociale, quindi delinquenziale, da reprimere. Secondo Cossutta “l’antisocialità del fatto va desunta dall’offesa arrecata alla libertà ed all’uguaglianza altrui, poiché tale atteggiamento contravviene il dovere sociale dell’essere umano, ovvero del soggetto nel suo rapporto con l’altro”. Interessante constatare come lo stesso Malatesta, che si inserisce nell’alveo della Scuola positiva promossa dal penalista Enrico Ferri, distingua fra reati che, “in quanto lesivi di valori universalmente condivisi e fondanti il vivere umano, sono di immediato riconoscimento ed esecrazione da parte dei consociali, e reati, la cui determinazione è invece ancorata all’opinione corrente nella comunità”; ancora una volta risulta centrale il richiamo degli éndoxa nella determinazione della tipologia di reato in un quadro teorico che non rifulge affatto dal problema del diritto. Certo, come evidenzia Cossutta, le proposte malatestiane appaiono a prima vista fortemente deficitarie da un punto di vista prettamente operativo (rifiuto di un corpo professionale di pubblica sicurezza, rifiuto organi giudicanti istituiti, un latente richiamo allo spontaneismo nella amministrazione della giustizia e così via), tanto da presumere che la difesa dell’alterità sia lasciata in balia di una sorte di “facilonismo irresponsabile”. Pur tuttavia, l’autore riconoscendo come l’anarchismo non è prospettiva prettamente teorica, piuttosto teoretica (“l’anarchismo è, anzitutto, incedere dialettico. È una prospettiva politica che si fonda non tanto su assiomi teorici – da cui le ipotesi che danno vita allo sviluppo delle ideologie –, quanto, poiché an-archica, sul tutto domandare – da cui la filosofia”), ritiene che tale modo di procedere risulti del tutto coerente con un incedere an-anarchico. Nello specifico giuridico si rileva come “solo coloro che vivono (anche indirettamente) il problema possono sullo stesso dire e contraddire, perché il problema ritroverà soluzione a partire dal problema stesso nel suo concreto manifestarsi e non per mezzo di astratte, in quanto ante-poste, direttive lungo le quali ricondurlo semplificandone la complessità al fine di preventivamente dominarlo con una risposta autoritativa, perché scaturente da assiomi generali e prefissati (che prevedono una soluzione operativa per ogni problema già prima che questo sia concretamente sorto)”. In definitiva, come evidenziato da Cossutta, ci troviamo di fronte ad una prospettiva che vede nel riconoscimento e nella valorizzazione dell’alterità, del rapporto con l’altro, il fulcro su cui dispiegarsi dialetticamente.File | Dimensione | Formato | |
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