Tra le molteplici intersezioni tra progetto e narrativa questo saggio si concentra sulla relazione tra spazio e racconto dell’abitare. Non inteso come racconto delle vicende dell’abitante ma della memoria di un abitare originario. Le scienze umane hanno descritto l’attitudine propriamente umana a organizzare l’esperienza in forma narrativa per dare senso alla realtà trasformando l’accaduto in racconto. In questa dimensione di esperienza interpretativa, ermeneutica, il narrare non è poi così lontano dall’architettura. L’attività che l’uomo da sempre compie quando costruisce il proprio riparo è sottrarre all’indeterminatezza i propri luoghi imponendovi la misura dei bisogni materiali del corpo e forme che riflettano un senso attribuito a questo stare nel mondo. Si è partiti dalla riflessione di Paul Ricoeur, per il quale la progettualità architettonica, dopo la caduta dei dogmi del Movimento Moderno, ritrova una legittimazione proprio nel suo potenziale senso narrativo ermeneutico rispetto al bisogno umano di abitare. Poi, cogliendo la coincidenza di significati rilevata da Giorgio Agamben per cui la parola “stanza” indica sia l’unità minima di un’architettura che la strofa di un componimento poetico, si è proposta la lettura dei versi composti da due architetti-poeti, Le Corbusier e John Hejduk, cercando di verificare l’assunto che, come le stanze, anche questi versi non siano altro che architettura.

Rooms and Verses: Nothing but Architecture

giuseppina scavuzzo
2018-01-01

Abstract

Tra le molteplici intersezioni tra progetto e narrativa questo saggio si concentra sulla relazione tra spazio e racconto dell’abitare. Non inteso come racconto delle vicende dell’abitante ma della memoria di un abitare originario. Le scienze umane hanno descritto l’attitudine propriamente umana a organizzare l’esperienza in forma narrativa per dare senso alla realtà trasformando l’accaduto in racconto. In questa dimensione di esperienza interpretativa, ermeneutica, il narrare non è poi così lontano dall’architettura. L’attività che l’uomo da sempre compie quando costruisce il proprio riparo è sottrarre all’indeterminatezza i propri luoghi imponendovi la misura dei bisogni materiali del corpo e forme che riflettano un senso attribuito a questo stare nel mondo. Si è partiti dalla riflessione di Paul Ricoeur, per il quale la progettualità architettonica, dopo la caduta dei dogmi del Movimento Moderno, ritrova una legittimazione proprio nel suo potenziale senso narrativo ermeneutico rispetto al bisogno umano di abitare. Poi, cogliendo la coincidenza di significati rilevata da Giorgio Agamben per cui la parola “stanza” indica sia l’unità minima di un’architettura che la strofa di un componimento poetico, si è proposta la lettura dei versi composti da due architetti-poeti, Le Corbusier e John Hejduk, cercando di verificare l’assunto che, come le stanze, anche questi versi non siano altro che architettura.
2018
978-88-6242-270-3
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