Nell’ultimo lustro, il tema dell’accesso della difesa agli atti del procedimento penale – alimentato, tradizionalmente, dai portati fondamentali del diritto di difesa e del principio del contraddittorio e snodo nevralgico delle complesse interrelazioni fra i primi e modus e ratio essendi del segreto processuale – è entrato, a pieno titolo, nell’area di influenza delle fonti dell’Unione europea intese ad assicurare ruoli, poteri e garanzie a protagonisti e comprimari del rito penale. Il pensiero corre alla direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012, dedicata al «diritto all’informazione nei procedimenti penali», i cui cardini concettuali consistono nel «diritto all’informazione sui diritti», nel «diritto all’informazione sull’accusa» e nel «diritto di accesso alla documentazione relativa all’indagine». Analogamente, la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, istitutiva di «norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato», enuncia – con riguardo alla persona offesa dal reato – prerogative in termini di «informazioni e sostegno» e di «partecipazione al procedimento penale», predicabili solo in costanza di adeguate garanzie di accesso agli atti processuali. Ancora, la direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013, «relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari», stigmatizza l’apprestamento della difesa tecnica quale canone puramente formale (“avere un avvocato”), imponendone, bensì, un’esplicazione effettiva, in funzione di quanto previsto dall’art. 3, ove sono compendiati diritti il cui livello di attuazione è direttamente proporzionale a quello della conoscenza degli atti del procedimento. Ferma l’attitudine onnipervasiva delle direttive in discorso, la quale, peraltro, le accomuna agli artt. 24 comma 2 e 111 Cost., è pacifico che, adottata l’ottica dell’accesso agli atti del procedimento, la fase più critica è quella delle indagini preliminari, nel corso della quale, sotto l’egida del segreto investigativo, si riscontrano – sia per l’indagato, sia per la persona offesa – le maggiori difficoltà nell’apprendere se il pubblico ministero e la polizia giudiziaria stanno dando effettivo seguito a una notitia criminis; quali siano i tratti identificativi di quest’ultima; se essi subiscano dei mutamenti in itinere; di quale materiale dispongano gli inquirenti; quale sia l’avviso del pubblico ministero circa an et quomodo dell’esercizio dell’azione penale.

L’accesso della difesa agli atti processuali

Stefano Ciampi
2017-01-01

Abstract

Nell’ultimo lustro, il tema dell’accesso della difesa agli atti del procedimento penale – alimentato, tradizionalmente, dai portati fondamentali del diritto di difesa e del principio del contraddittorio e snodo nevralgico delle complesse interrelazioni fra i primi e modus e ratio essendi del segreto processuale – è entrato, a pieno titolo, nell’area di influenza delle fonti dell’Unione europea intese ad assicurare ruoli, poteri e garanzie a protagonisti e comprimari del rito penale. Il pensiero corre alla direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2012, dedicata al «diritto all’informazione nei procedimenti penali», i cui cardini concettuali consistono nel «diritto all’informazione sui diritti», nel «diritto all’informazione sull’accusa» e nel «diritto di accesso alla documentazione relativa all’indagine». Analogamente, la direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012, istitutiva di «norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato», enuncia – con riguardo alla persona offesa dal reato – prerogative in termini di «informazioni e sostegno» e di «partecipazione al procedimento penale», predicabili solo in costanza di adeguate garanzie di accesso agli atti processuali. Ancora, la direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2013, «relativa al diritto di avvalersi di un difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari», stigmatizza l’apprestamento della difesa tecnica quale canone puramente formale (“avere un avvocato”), imponendone, bensì, un’esplicazione effettiva, in funzione di quanto previsto dall’art. 3, ove sono compendiati diritti il cui livello di attuazione è direttamente proporzionale a quello della conoscenza degli atti del procedimento. Ferma l’attitudine onnipervasiva delle direttive in discorso, la quale, peraltro, le accomuna agli artt. 24 comma 2 e 111 Cost., è pacifico che, adottata l’ottica dell’accesso agli atti del procedimento, la fase più critica è quella delle indagini preliminari, nel corso della quale, sotto l’egida del segreto investigativo, si riscontrano – sia per l’indagato, sia per la persona offesa – le maggiori difficoltà nell’apprendere se il pubblico ministero e la polizia giudiziaria stanno dando effettivo seguito a una notitia criminis; quali siano i tratti identificativi di quest’ultima; se essi subiscano dei mutamenti in itinere; di quale materiale dispongano gli inquirenti; quale sia l’avviso del pubblico ministero circa an et quomodo dell’esercizio dell’azione penale.
2017
9788892109247
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