Come e dove hanno vissuto i Neandertal? Cosa ha provocato la loro scomparsa? Queste domande intrattengono la comunità scientifica da molti anni, in un dibattito che ha visto il susseguirsi delle ipotesi più svariate: dai cambiamenti climatici alla convivenza e/o competizione con i Sapiens per l’occupazione del territorio e lo sfruttamento delle risorse, fino a ipotizzare devastanti effetti tumorali, legati alle oscillazioni del campo magnetico terrestre, ovviamente a scapito dei nativi. Negli ultimi decenni grande attenzione viene posta sulla possibile esistenza di qualche forma di contatto tra gli ultimi Neandertal e i primi Uomini Anatomicamente Moderni (Homo sapiens), giunti nel sud dell'Europa circa 45mila anni fa. Il bacino del Mediterraneo e, con esso, le zone settentrionali come l'alto Adriatico e la fascia delle Prealpi si pongono al centro di questo dibattito. Le culture e i comportamenti che hanno modulato le strategie adattative dell’umanità del passato, si sono tradotti in varie attività connesse alla pura sopravvivenza o alle pratiche cultuali. Ciò è testimoniato dalla diversità di elementi archeologici, il cui potenziale di informazioni culturali permette di collegare tra loro i siti archeologici e le conoscenze acquisite con la loro esplorazione. Nella regione dell'Adriatico settentrionale, in particolare nelle Prealpi, ampie documentazioni archeologiche consentono di ricostruire il modo di vita degli ultimi Neandertal e di comprendere come questi, nel corso di centinaia di miglia di anni siano stati in grado di adattarsi a numerosi mutamenti climatici e ambientali. L’elevata disponibilità di materia prima litica e la varietà fisiografica ed ecologica della frangia al cardine tra l’alta pianura e le Prealpi spiegano l’interesse alla frequentazione di questi territori, percorsi in spostamenti stagionali. In relazione alla loro posizione topografica, alcune grotte principali delle Prealpi Venete (Grotta di Fumane, Riparo Tagliente, Grotta di San Bernardino) fungevano da siti di riferimento, a frequentazione complessa, dove la produzione di attrezzi in pietra scheggiata era finalizzata alla caccia e al processamento delle prede. A questi contesti si associavano siti complementari a frequentazione breve ed effimera, talora prossimi a fonti primarie di approvvigionamento minerale e faunistico, e utilizzati strategicamente negli ampi percorsi logistici. In questi casi, il frazionamento delle sequenze di produzione/trasformazione evidenziato dalle industrie litiche rivela la capacità di pianificare le attività economiche e la variabilità nella circolazione dei manufatti. Uno di questi casi si trova nelle Prealpi Carniche, un distretto sino a pochi anni fa poco noto all'archeologia preistorica fino a due decenni fa. Si tratta della Grotta del Rio Secco, un'ampia cavità sull'Altopiano di Pradis, il cui archivio stratigrafico delinea un potenziale scientifico come indicatore archeologico di occupazione del territorio, di comportamento alimentare, di sfruttamento delle risorse minerali in un settore chiave tra la pianura e la regione alpina. Unitamente al transetto pedemontano circostante, l’Altopiano di Pradis cade all’interno di una provincia interposta tra tanto diverse quanto complementari entità fisiografiche ed ecologiche: l’area veneta a occidente, ricca di siti all’aperto e di grotte e ripari; le Alpi Giulie, dove si apre la Grotta Divje Babe I; il carso Triestino con vari siti in grotta; la Croazia nordoccidentale e la costa dalmata, che ospitano giacimenti noti ma anche di recente scoperta. Grotta del Rio Secco è stata per noi e per tutti i nostri collaboratori una grande occasione di crescita: sul piano scientifico, consentendoci di esplorare aspetti del comportamento di una specie umana del passato poco noti alla comunità scientifica internazionale; sul piano sociale, costruendo una profonda rete di contatti e amicizie, che ha reso questa esperienza solida e ineguagliabile.

Selci e territorio: direttrici di approvvigionamento

Maurizio Ponton;
2019-01-01

Abstract

Come e dove hanno vissuto i Neandertal? Cosa ha provocato la loro scomparsa? Queste domande intrattengono la comunità scientifica da molti anni, in un dibattito che ha visto il susseguirsi delle ipotesi più svariate: dai cambiamenti climatici alla convivenza e/o competizione con i Sapiens per l’occupazione del territorio e lo sfruttamento delle risorse, fino a ipotizzare devastanti effetti tumorali, legati alle oscillazioni del campo magnetico terrestre, ovviamente a scapito dei nativi. Negli ultimi decenni grande attenzione viene posta sulla possibile esistenza di qualche forma di contatto tra gli ultimi Neandertal e i primi Uomini Anatomicamente Moderni (Homo sapiens), giunti nel sud dell'Europa circa 45mila anni fa. Il bacino del Mediterraneo e, con esso, le zone settentrionali come l'alto Adriatico e la fascia delle Prealpi si pongono al centro di questo dibattito. Le culture e i comportamenti che hanno modulato le strategie adattative dell’umanità del passato, si sono tradotti in varie attività connesse alla pura sopravvivenza o alle pratiche cultuali. Ciò è testimoniato dalla diversità di elementi archeologici, il cui potenziale di informazioni culturali permette di collegare tra loro i siti archeologici e le conoscenze acquisite con la loro esplorazione. Nella regione dell'Adriatico settentrionale, in particolare nelle Prealpi, ampie documentazioni archeologiche consentono di ricostruire il modo di vita degli ultimi Neandertal e di comprendere come questi, nel corso di centinaia di miglia di anni siano stati in grado di adattarsi a numerosi mutamenti climatici e ambientali. L’elevata disponibilità di materia prima litica e la varietà fisiografica ed ecologica della frangia al cardine tra l’alta pianura e le Prealpi spiegano l’interesse alla frequentazione di questi territori, percorsi in spostamenti stagionali. In relazione alla loro posizione topografica, alcune grotte principali delle Prealpi Venete (Grotta di Fumane, Riparo Tagliente, Grotta di San Bernardino) fungevano da siti di riferimento, a frequentazione complessa, dove la produzione di attrezzi in pietra scheggiata era finalizzata alla caccia e al processamento delle prede. A questi contesti si associavano siti complementari a frequentazione breve ed effimera, talora prossimi a fonti primarie di approvvigionamento minerale e faunistico, e utilizzati strategicamente negli ampi percorsi logistici. In questi casi, il frazionamento delle sequenze di produzione/trasformazione evidenziato dalle industrie litiche rivela la capacità di pianificare le attività economiche e la variabilità nella circolazione dei manufatti. Uno di questi casi si trova nelle Prealpi Carniche, un distretto sino a pochi anni fa poco noto all'archeologia preistorica fino a due decenni fa. Si tratta della Grotta del Rio Secco, un'ampia cavità sull'Altopiano di Pradis, il cui archivio stratigrafico delinea un potenziale scientifico come indicatore archeologico di occupazione del territorio, di comportamento alimentare, di sfruttamento delle risorse minerali in un settore chiave tra la pianura e la regione alpina. Unitamente al transetto pedemontano circostante, l’Altopiano di Pradis cade all’interno di una provincia interposta tra tanto diverse quanto complementari entità fisiografiche ed ecologiche: l’area veneta a occidente, ricca di siti all’aperto e di grotte e ripari; le Alpi Giulie, dove si apre la Grotta Divje Babe I; il carso Triestino con vari siti in grotta; la Croazia nordoccidentale e la costa dalmata, che ospitano giacimenti noti ma anche di recente scoperta. Grotta del Rio Secco è stata per noi e per tutti i nostri collaboratori una grande occasione di crescita: sul piano scientifico, consentendoci di esplorare aspetti del comportamento di una specie umana del passato poco noti alla comunità scientifica internazionale; sul piano sociale, costruendo una profonda rete di contatti e amicizie, che ha reso questa esperienza solida e ineguagliabile.
2019
9791220056854
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