L’autore, constatando il sostanziale sconvolgimento della struttura socio-economica prodotto dalla rivoluzione industriale iniziatasi a cavaliere tra Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, si interroga sul possibile rapporto tra la tecnica, frutto dello sviluppo delle scienze, e le istanze di liberazione dell’essere umano dalla sua condizione di minorità. Nel far ciò egli fa riferimento da prima al pensiero di Carl Marx, che individua proprio nella tecnica (la macchina) caratterizzante la fabbrica accentrata uno strumento neutrale, utilizzabile cioè sia in chiave capitalistica, quindi di sfruttamento, che foriera del passaggio da una società gerarchizzata per classi ad una liberata dalle classi e dallo sfruttamento (il comunismo); ciò grazie alla possibilità offerta dalla tecnica di liberare l’umanità dalla schiavitù del bisogno – causa prima della necessità della società classista. L’analisi marxiana viene riprese nel Ventesimo secolo dalla cosiddetta seconda generazione dei francofortesi (Habermas in primis), anche se aveva ritrovato nella speculazione di Marcuse non pochi spunti critici. Questi vengono ripresi da Bookchin, pensatore statunitense formatosi anche nella scuola di Francoforte, che, all’incontrario di certa tradizione marxista, riconosce nella tecnologia frutto d’una scienza postasi al servizio dell’impresa capitalistica un esclusivo momento di oppressione; oppressione non solo di carattere economico e politica, ma che investe prepotentemente anche campi non considerati dalle analisi otto-novecentesche quali l’ecosistema. Bookchin è stato uno dei principali artifici del movimento ecologista nel secondo Novecento, abbandonando anche la visione marxiana del proletariato quale classe rivoluzionaria per eccellenza, ritenendolo oramai ingabbiato nelle logiche consumistiche che caratterizzano l’attuale contesto sociale.

Tecnologia: dominio o liberazione? Brevi note intorno al pensiero di Marx, Habermas, Bookchin

Marco Cossutta
2022-01-01

Abstract

L’autore, constatando il sostanziale sconvolgimento della struttura socio-economica prodotto dalla rivoluzione industriale iniziatasi a cavaliere tra Diciottesimo e Diciannovesimo secolo, si interroga sul possibile rapporto tra la tecnica, frutto dello sviluppo delle scienze, e le istanze di liberazione dell’essere umano dalla sua condizione di minorità. Nel far ciò egli fa riferimento da prima al pensiero di Carl Marx, che individua proprio nella tecnica (la macchina) caratterizzante la fabbrica accentrata uno strumento neutrale, utilizzabile cioè sia in chiave capitalistica, quindi di sfruttamento, che foriera del passaggio da una società gerarchizzata per classi ad una liberata dalle classi e dallo sfruttamento (il comunismo); ciò grazie alla possibilità offerta dalla tecnica di liberare l’umanità dalla schiavitù del bisogno – causa prima della necessità della società classista. L’analisi marxiana viene riprese nel Ventesimo secolo dalla cosiddetta seconda generazione dei francofortesi (Habermas in primis), anche se aveva ritrovato nella speculazione di Marcuse non pochi spunti critici. Questi vengono ripresi da Bookchin, pensatore statunitense formatosi anche nella scuola di Francoforte, che, all’incontrario di certa tradizione marxista, riconosce nella tecnologia frutto d’una scienza postasi al servizio dell’impresa capitalistica un esclusivo momento di oppressione; oppressione non solo di carattere economico e politica, ma che investe prepotentemente anche campi non considerati dalle analisi otto-novecentesche quali l’ecosistema. Bookchin è stato uno dei principali artifici del movimento ecologista nel secondo Novecento, abbandonando anche la visione marxiana del proletariato quale classe rivoluzionaria per eccellenza, ritenendolo oramai ingabbiato nelle logiche consumistiche che caratterizzano l’attuale contesto sociale.
2022
9788857593142
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