Il tema delle disparità territoriali è oggetto di studio interdisciplinare tra sociologi, economisti e geografi, i quali a diverse scale di analisi hanno messo in luce le differenti dinamiche demografiche e sociali e la diversa capacità di produrre e distribuire ricchezza tra aree, siano esse stati nazionali, regioni o subregioni. La “marginalità” è una categoria con cui leggere le diseguaglianze territoriali. Essa richiama la dimensione sub-regionale e interroga la condizione di svantaggio socio-economico di aree che durante il processo di sviluppo industriale sono diventate interstiziali rispetto ai principali poli nei quali si sono concentrate ricchezza e popolazione e pertanto relativamente marginali rispetto a essi. Il tema è particolarmente rilevante in un paese come l’Italia, nel quale l’articolazione delle differenze interne è decisamente variegata. Le aree marginali, infatti, non sono riconducibili al dualismo aree urbane-aree rurali che in altri paesi europei permane come lettura dominante, non rispondono meccanicamente alla dimensione altimetrica che distingue montagna e pianura, così come non sono riconducibili solo alla dinamica nord-sud. Non esiste un’interpretazione unica della marginalità, come non esiste una metodologia unica per individuare le aree marginali. La selezione delle variabili è determinata dalla cornice teorica assunta. Tuttavia, se proviamo a definire le aree marginali a partire dalle loro caratteristiche possiamo tracciarne un’approssimativa geografia. Un indicatore piuttosto fedele di un generale malessere di alcune aree è il calo demografico. Tuttavia, esso non è sufficiente. Anche alcune grandi città vedono calare la popolazione in favore del loro hinterland, dando luogo in alcune aree del paese allo studiato fenomeno dello sprawl urbano. Al calo demografico si devono aggiungere la bassa densità abitativa e l’alta incidenza della popolazione anziana, la difficoltà a mantenere i servizi sul territorio a causa del venire meno delle soglie di sostenibilità economica e organizzativa del servizio, la scarsa capacità di attrarre popolazione dall’esterno, la presenza di redditi pro capite più bassi e la debolezza del tessuto imprenditoriale. Tutti questi elementi si autoalimentano e danno vita a una spirale della marginalità (Carrosio e Osti, 2020), che si manifesta nel progressivo e incessante abbandono del territorio e nel sotto-utilizzo del capitale naturale e culturale, i quali a loro volta si traducono in dissesto idrogeologico, degrado dei beni culturali e architettonici, perdita di biodiversità generata dalla compresenza tra attività umane e ambiente naturale, dispersione di conoscenze tacite e tradizionali. Provando a tracciare una geografia dell’Italia marginale a partire da queste caratteristiche, possiamo individuare anzitutto parte dell’arco alpino, in particolare le vallate della montagna cuneese e torinese, quelle bergamasche e bresciane, l’alta Carnia e parte delle province di Belluno e Pordenone. Vanno quindi considerate alcune aree interstiziali di pianura, come l’area del delta del Po, una piccola porzione di territorio compreso tra le province di Cremona e Mantova, il grossetano e la piana di Sibari in Calabria. Si distingue con forza la fascia appenninica, con alcuni addensamenti in particolare: l’area all’incrocio delle province di Alessandria, Piacenza, Pavia e Genova (detta anche l’area “delle quattro province”), buona parte dell’Appennino Ligure e Tosco-Emiliano, il grande blocco dell’Appennino centrale compreso tra le regioni Toscana, Marche, Molise, Abruzzo e Lazio. Nelle regioni meridionali si distinguono l’Irpinia in Campania, gran parte della Basilicata, l’Appennino Dauno, la Calabria grecanica, le porzioni di territorio interne rispetto alla costa di Sicilia e Sardegna. Attorno a questa geografia sta lavorando la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), che ha individuato le aree marginali a partire dalla disparità di accesso ai diritti di cittadinanza (Carrosio e Faccini, 2019). La Strategia, messa in atto nel 2012 durante il governo Monti, ha selezionato 72 aree interne, ognuna composta da sistemi intercomunali, nelle quali ha promosso azioni di sviluppo locale e di riorganizzazione dei servizi di cittadinanza. Oggi si trova nel suo secondo ciclo, ovvero nella selezione di ulteriori aree, che avranno a disposizione risorse statali per i servizi e risorse regionali nell’ambito dell’obiettivo 5 del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.
La Strategia Nazionale per le Aree Interne: ragioni, teoria e metodo di una politica emancipativa per i luoghi lasciati indietro
Carrosio Giovanni
2022-01-01
Abstract
Il tema delle disparità territoriali è oggetto di studio interdisciplinare tra sociologi, economisti e geografi, i quali a diverse scale di analisi hanno messo in luce le differenti dinamiche demografiche e sociali e la diversa capacità di produrre e distribuire ricchezza tra aree, siano esse stati nazionali, regioni o subregioni. La “marginalità” è una categoria con cui leggere le diseguaglianze territoriali. Essa richiama la dimensione sub-regionale e interroga la condizione di svantaggio socio-economico di aree che durante il processo di sviluppo industriale sono diventate interstiziali rispetto ai principali poli nei quali si sono concentrate ricchezza e popolazione e pertanto relativamente marginali rispetto a essi. Il tema è particolarmente rilevante in un paese come l’Italia, nel quale l’articolazione delle differenze interne è decisamente variegata. Le aree marginali, infatti, non sono riconducibili al dualismo aree urbane-aree rurali che in altri paesi europei permane come lettura dominante, non rispondono meccanicamente alla dimensione altimetrica che distingue montagna e pianura, così come non sono riconducibili solo alla dinamica nord-sud. Non esiste un’interpretazione unica della marginalità, come non esiste una metodologia unica per individuare le aree marginali. La selezione delle variabili è determinata dalla cornice teorica assunta. Tuttavia, se proviamo a definire le aree marginali a partire dalle loro caratteristiche possiamo tracciarne un’approssimativa geografia. Un indicatore piuttosto fedele di un generale malessere di alcune aree è il calo demografico. Tuttavia, esso non è sufficiente. Anche alcune grandi città vedono calare la popolazione in favore del loro hinterland, dando luogo in alcune aree del paese allo studiato fenomeno dello sprawl urbano. Al calo demografico si devono aggiungere la bassa densità abitativa e l’alta incidenza della popolazione anziana, la difficoltà a mantenere i servizi sul territorio a causa del venire meno delle soglie di sostenibilità economica e organizzativa del servizio, la scarsa capacità di attrarre popolazione dall’esterno, la presenza di redditi pro capite più bassi e la debolezza del tessuto imprenditoriale. Tutti questi elementi si autoalimentano e danno vita a una spirale della marginalità (Carrosio e Osti, 2020), che si manifesta nel progressivo e incessante abbandono del territorio e nel sotto-utilizzo del capitale naturale e culturale, i quali a loro volta si traducono in dissesto idrogeologico, degrado dei beni culturali e architettonici, perdita di biodiversità generata dalla compresenza tra attività umane e ambiente naturale, dispersione di conoscenze tacite e tradizionali. Provando a tracciare una geografia dell’Italia marginale a partire da queste caratteristiche, possiamo individuare anzitutto parte dell’arco alpino, in particolare le vallate della montagna cuneese e torinese, quelle bergamasche e bresciane, l’alta Carnia e parte delle province di Belluno e Pordenone. Vanno quindi considerate alcune aree interstiziali di pianura, come l’area del delta del Po, una piccola porzione di territorio compreso tra le province di Cremona e Mantova, il grossetano e la piana di Sibari in Calabria. Si distingue con forza la fascia appenninica, con alcuni addensamenti in particolare: l’area all’incrocio delle province di Alessandria, Piacenza, Pavia e Genova (detta anche l’area “delle quattro province”), buona parte dell’Appennino Ligure e Tosco-Emiliano, il grande blocco dell’Appennino centrale compreso tra le regioni Toscana, Marche, Molise, Abruzzo e Lazio. Nelle regioni meridionali si distinguono l’Irpinia in Campania, gran parte della Basilicata, l’Appennino Dauno, la Calabria grecanica, le porzioni di territorio interne rispetto alla costa di Sicilia e Sardegna. Attorno a questa geografia sta lavorando la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI), che ha individuato le aree marginali a partire dalla disparità di accesso ai diritti di cittadinanza (Carrosio e Faccini, 2019). La Strategia, messa in atto nel 2012 durante il governo Monti, ha selezionato 72 aree interne, ognuna composta da sistemi intercomunali, nelle quali ha promosso azioni di sviluppo locale e di riorganizzazione dei servizi di cittadinanza. Oggi si trova nel suo secondo ciclo, ovvero nella selezione di ulteriori aree, che avranno a disposizione risorse statali per i servizi e risorse regionali nell’ambito dell’obiettivo 5 del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.File | Dimensione | Formato | |
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