Ispirate (nel titolo e nell’essenza) a una corrispondenza russa di un secolo esatto fa: sono le impressioni scritte di getto, senza alcun piano, a fine giornata, da due spiriti di oggi, inquieti perché consapevoli; due anime lontane eppure vicine, come questo mondo ci ha chiesto di essere. Uno spazio inventato, (musicalmente) improvvisato, registrato dal vivo, di un tempo piccolo al finir delle ore in cui quotidiane si facevano cose, prima di entrare in notti che hanno fatto più male di altre; di un tempo grande che si sperava finito, che è ancora il nostro, che chissà dove ci porterà. Il titolo è una ripresa con variazioni dell’antologica Perepiska iz dvuch uglov, la “Corrispondenza da due angoli” appunto firmata nel 1920 da Vjačeslav Ivanov e Michail Geršenzon (1° ed. russa 1921; ed. it. 1932, 1976, 1991). Il titolo è una ripresa con variazioni dell’antologica Perepiska iz dvuch uglov, la “Corrispondenza da due angoli” appunto firmata nel 1920 da Vjačeslav Ivanov e Michail Geršenzon (1° ed. russa 1921; ed. it. 1932, 1976, 1991). Poeta, filosofo, esponente del Secolo d’Argento l’uno, letterato, filosofo, pubblicista l’altro, i due – amici di vecchia data ma antagonisti spirituali – si scambiarono le famose dodici lettere “da un angolo all’altro” della camera comune di una casa di cura a Mosca. Sullo sfondo del dramma epocale di ciò che alcuni chiamò il “decennio secolare”, in quelle pagine i due grandi intellettuali, in dialogo con gli interlocutori eletti del tempo (Nietzsche e Kant, Ibsen e Schopenhauer, ma anche Dante, Leopardi, Tolstoj), inscenavano un breve quanto radicale dibattito su cultura e rivoluzione, cultura e libertà, cultura e fede. Cento anni dopo, un mondo che si credeva invincibile ed eterno ha messo all’angolo tutti i suoi abitanti: e costretto a rivedere le proprie vie di salvezza. Dai due angoli astratti di spazi mutuamente esclusivi, sconosciuti l’uno all’altro, due protagonisti a caso del nostro tempo hanno allora provato nel loro piccolo a erigere un argine, costruirsi un ponte: lanciarsi un’offerta di dialogo, che ha trascinato dentro le voci ideali (esistenzialmente reali) della loro esperienza interiore. Ne è risultata una policroma polifonia, sullo sfondo di una realtà attraversata dal basso continuo della paura. Mentre il mondo, lì fuori, malgrado tutto, accadeva: “come un guscio disabitato” (W. Benjamin). Abbiamo provato anche noi – “ad appoggiarlo all’orecchio”. Queste pagine sono state un modo per ritrovarsi in un mondo che era scomparso. Per riorganizzare un silenzio prima mai conosciuto. Per indirizzare lo sguardo nel labirinto. Il genere, dicevamo? La variante moderna dell’epistolario. Una corrispondenza elettronica, virtuale e impalpabile: che ha voluto farsi carta (da gioco) reale. Allineata a sinistra una voce. Allineata a destra l’altra. Le regole, di questo gioco? Una pagina al giorno, una replica a testa, niente di più. E sono voci, a destra e a sinistra, che si intessono ognuna dei suoi propri eroi (ed errori) più intimi. C’è molta Russia, per questo: la Russia dei classici e di inizio ‘900 – delle avanguardie e del Secolo d’Argento; dell’underground e delle subculture; sovietica e non. C’è molta architettura, sempre per questo: ovunque il pensiero di cosa sia casa – tana salvifica e luogo feroce in cui ci siamo ritrovati prigionieri a noi stessi. E c’è filosofia del linguaggio, o solo filosofia, c’è traduzione, ci sono semiotiche e costruzioni, c’è ovunque poesia. E sono pagine che sono parole: ma sono anche luoghi, figure, e cinema musica teatro fumetti – e opere d’arte. E ci sono quadri, e fotografie. Ma anche leggerezza, gioco, vertigine, ci sono gatti: e cani blu. Quasi una jam session in smart-playing. Al ritmo di un tennis da scrivania.

Corrispondenza di due angoli

De Michiel, Margherita
;
Fraziano, Giovanni
2022-01-01

Abstract

Ispirate (nel titolo e nell’essenza) a una corrispondenza russa di un secolo esatto fa: sono le impressioni scritte di getto, senza alcun piano, a fine giornata, da due spiriti di oggi, inquieti perché consapevoli; due anime lontane eppure vicine, come questo mondo ci ha chiesto di essere. Uno spazio inventato, (musicalmente) improvvisato, registrato dal vivo, di un tempo piccolo al finir delle ore in cui quotidiane si facevano cose, prima di entrare in notti che hanno fatto più male di altre; di un tempo grande che si sperava finito, che è ancora il nostro, che chissà dove ci porterà. Il titolo è una ripresa con variazioni dell’antologica Perepiska iz dvuch uglov, la “Corrispondenza da due angoli” appunto firmata nel 1920 da Vjačeslav Ivanov e Michail Geršenzon (1° ed. russa 1921; ed. it. 1932, 1976, 1991). Il titolo è una ripresa con variazioni dell’antologica Perepiska iz dvuch uglov, la “Corrispondenza da due angoli” appunto firmata nel 1920 da Vjačeslav Ivanov e Michail Geršenzon (1° ed. russa 1921; ed. it. 1932, 1976, 1991). Poeta, filosofo, esponente del Secolo d’Argento l’uno, letterato, filosofo, pubblicista l’altro, i due – amici di vecchia data ma antagonisti spirituali – si scambiarono le famose dodici lettere “da un angolo all’altro” della camera comune di una casa di cura a Mosca. Sullo sfondo del dramma epocale di ciò che alcuni chiamò il “decennio secolare”, in quelle pagine i due grandi intellettuali, in dialogo con gli interlocutori eletti del tempo (Nietzsche e Kant, Ibsen e Schopenhauer, ma anche Dante, Leopardi, Tolstoj), inscenavano un breve quanto radicale dibattito su cultura e rivoluzione, cultura e libertà, cultura e fede. Cento anni dopo, un mondo che si credeva invincibile ed eterno ha messo all’angolo tutti i suoi abitanti: e costretto a rivedere le proprie vie di salvezza. Dai due angoli astratti di spazi mutuamente esclusivi, sconosciuti l’uno all’altro, due protagonisti a caso del nostro tempo hanno allora provato nel loro piccolo a erigere un argine, costruirsi un ponte: lanciarsi un’offerta di dialogo, che ha trascinato dentro le voci ideali (esistenzialmente reali) della loro esperienza interiore. Ne è risultata una policroma polifonia, sullo sfondo di una realtà attraversata dal basso continuo della paura. Mentre il mondo, lì fuori, malgrado tutto, accadeva: “come un guscio disabitato” (W. Benjamin). Abbiamo provato anche noi – “ad appoggiarlo all’orecchio”. Queste pagine sono state un modo per ritrovarsi in un mondo che era scomparso. Per riorganizzare un silenzio prima mai conosciuto. Per indirizzare lo sguardo nel labirinto. Il genere, dicevamo? La variante moderna dell’epistolario. Una corrispondenza elettronica, virtuale e impalpabile: che ha voluto farsi carta (da gioco) reale. Allineata a sinistra una voce. Allineata a destra l’altra. Le regole, di questo gioco? Una pagina al giorno, una replica a testa, niente di più. E sono voci, a destra e a sinistra, che si intessono ognuna dei suoi propri eroi (ed errori) più intimi. C’è molta Russia, per questo: la Russia dei classici e di inizio ‘900 – delle avanguardie e del Secolo d’Argento; dell’underground e delle subculture; sovietica e non. C’è molta architettura, sempre per questo: ovunque il pensiero di cosa sia casa – tana salvifica e luogo feroce in cui ci siamo ritrovati prigionieri a noi stessi. E c’è filosofia del linguaggio, o solo filosofia, c’è traduzione, ci sono semiotiche e costruzioni, c’è ovunque poesia. E sono pagine che sono parole: ma sono anche luoghi, figure, e cinema musica teatro fumetti – e opere d’arte. E ci sono quadri, e fotografie. Ma anche leggerezza, gioco, vertigine, ci sono gatti: e cani blu. Quasi una jam session in smart-playing. Al ritmo di un tennis da scrivania.
2022
978-88-5511-293-2
978-88-5511-294-9
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11368/3038298
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