Nel nostro paese, a fronte della consapevolezza di operare in una prospettiva di rigenerazione degli insediamenti esistenti, il progetto della dotazione di attrezzature e servizi collettivi e il programma delle azioni di welfare che ne supportano il funzionamento e l’uso costituiscono ancora un pilastro del sistema di strumenti urbanistici e politiche urbane che regolano le trasformazioni territoriali. Si tratta di una delle espressioni più concrete dell’affermazione dell’interesse generale rispetto a quello dei singoli individui, laddove l’efficacia delle pratiche di governo del territorio si misura proprio nella capacità di gestire e controbilanciare valori pubblici e privati. Tuttavia, nella pratica contemporanea del fare città e urbanistica queste dichiarazioni, apparentemente scontate, non lo sono affatto. Due situazioni appaiono sempre più spesso inconciliabili: da un lato, l’impiego esclusivo e il consumo di spazi e risorse non rinnovabili (come il suolo, l’aria, l’acqua, la biodiversità) da parte di singoli individui; dall’altro, l’interesse generale che dovrebbe orientare un uso equo e inclusivo, rispettoso e sostenibile dei medesimi spazi e risorse. Lo stesso interesse generale – pur a fronte dei ricorrenti appelli a un suo esercizio più forte e deciso espressi dalle agende internazionali e nazionali per una just transition – stenta ad acquistare materialità e operatività, venendo di frequente associato a una vaga idea di qualità ambientale. Non meno problematica è l’accezione stessa di “generalità”: se e come siamo infatti in grado di costruire la città accogliente e inclusiva che il pluralismo della realtà contemporanea richiede (Pasqui, 2018)? Una città aperta alle tante e crescenti sfumature di bisogni può essere ancora informata da principi universalistici, come quelli alla base degli standard urbanistici che il decreto interministeriale 1444/1968 ha ratificato, e dei cui importanti lasciti si è tornati a discutere in occasione del suo cinquantenario ? È a partire da tali domande e questioni che il testo si interroga sulla tenuta, ma soprattutto sulle possibili evoluzioni di progetti e politiche tesi ad assicurare forme di welfare e dotazioni di servizi più efficaci e pertinenti rispetto alle condizioni – fragili, sbilanciate e in mutamento – delle nostre città e territori . Condizioni e squilibri spaziali, sociali ed economici preesistenti alla pandemia, ma che gli impatti della crisi sanitaria (e ora di quelle climatica, ambientale ed energetica) hanno reso ancora più critici.
Forme di welfare e dotazione di servizi, un’eredità in continua evoluzione
Elena Marchigiani
;Camilla Perrone
2023-01-01
Abstract
Nel nostro paese, a fronte della consapevolezza di operare in una prospettiva di rigenerazione degli insediamenti esistenti, il progetto della dotazione di attrezzature e servizi collettivi e il programma delle azioni di welfare che ne supportano il funzionamento e l’uso costituiscono ancora un pilastro del sistema di strumenti urbanistici e politiche urbane che regolano le trasformazioni territoriali. Si tratta di una delle espressioni più concrete dell’affermazione dell’interesse generale rispetto a quello dei singoli individui, laddove l’efficacia delle pratiche di governo del territorio si misura proprio nella capacità di gestire e controbilanciare valori pubblici e privati. Tuttavia, nella pratica contemporanea del fare città e urbanistica queste dichiarazioni, apparentemente scontate, non lo sono affatto. Due situazioni appaiono sempre più spesso inconciliabili: da un lato, l’impiego esclusivo e il consumo di spazi e risorse non rinnovabili (come il suolo, l’aria, l’acqua, la biodiversità) da parte di singoli individui; dall’altro, l’interesse generale che dovrebbe orientare un uso equo e inclusivo, rispettoso e sostenibile dei medesimi spazi e risorse. Lo stesso interesse generale – pur a fronte dei ricorrenti appelli a un suo esercizio più forte e deciso espressi dalle agende internazionali e nazionali per una just transition – stenta ad acquistare materialità e operatività, venendo di frequente associato a una vaga idea di qualità ambientale. Non meno problematica è l’accezione stessa di “generalità”: se e come siamo infatti in grado di costruire la città accogliente e inclusiva che il pluralismo della realtà contemporanea richiede (Pasqui, 2018)? Una città aperta alle tante e crescenti sfumature di bisogni può essere ancora informata da principi universalistici, come quelli alla base degli standard urbanistici che il decreto interministeriale 1444/1968 ha ratificato, e dei cui importanti lasciti si è tornati a discutere in occasione del suo cinquantenario ? È a partire da tali domande e questioni che il testo si interroga sulla tenuta, ma soprattutto sulle possibili evoluzioni di progetti e politiche tesi ad assicurare forme di welfare e dotazioni di servizi più efficaci e pertinenti rispetto alle condizioni – fragili, sbilanciate e in mutamento – delle nostre città e territori . Condizioni e squilibri spaziali, sociali ed economici preesistenti alla pandemia, ma che gli impatti della crisi sanitaria (e ora di quelle climatica, ambientale ed energetica) hanno reso ancora più critici.File | Dimensione | Formato | |
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