Racchiusa nel suo recinto da circa un chilometro di muro perimetrale, la caserma Francescatto di Cividale nei suoi quasi sette ettari di estensione rappresenta solo uno tra i frammenti che nel tempo hanno stratificato lo spessore della frontiera. Caserme e casermette, ospedali, alloggi militari, depositi, polveriere, poligoni di tiro, osservatori, bunker, trincee, campi di volo, fortificazioni confinarie, città fortificate e non solo, rappresentano in una spazialità di forme e (dis)misure eterogenee la materializzazione del turbolento processo di confinamento della frontiera dinamica e mobile compresa tra l’arco orientale delle Alpi e l’Alto Adriatico. Nel loro insieme questi frammenti a scala variabile assemblano una topologia di muri ed enclaves che figura la “Fortezza Friuli Venezia Giulia” e una delle infrastrutture difensive più dense d’Europa. Questo paesaggio d’eccezione si trova paradossalmente al punto di intersezione tra le fondamentali vie di comunicazione Nord-Sud, tra Baltico e Adriatico, ed Ovest-Est, tra pianura padana e area danubiana, nel territorio transfrontaliero oggi condiviso tra Italia, Slovenia, Croazia e Austria. Pertanto il lento processo di smilitarizzazione, sdemanializzazione e risignificazione di questa geografia invisibile nel suo complesso, e dell’ex enclave militare della caserma Francescatto nello specifico, va necessariamente osservato da una prospettiva europea. Oggi infatti si guarda a quel limes non più nella sua accezione esclusiva di via militare e zona comprensiva delle fortificazioni che la circondano, ma recuperando il significato originale del termine, e cioè di via traversa, un percorso o via di contatto e collegamento. La visione dell’European Green Belt sembra suggerire questa prospettiva dinamica, non considerando più le architetture del potere e i paesaggi prodotti dall’ex cortina di ferro come una terra di nessuno o death strip. Infatti quello spessore variabile che si estende per più di dodicimila chilometri è letto oggi come uno spazio potenziale di vita e di libertà, come risorsa paesaggistica, come rete ecologica condivisa, come un bene e fine comune. Tale sequenza di paesaggi stratifica sia un archivio materiale e un paesaggio della memoria, che un laboratorio vivente di paesaggio europeo. Si tratta di processi in atto non solo in Europa, ma nel mondo intero. Come, ad esempio, nel caso della zona di demilitarizzazione tra le due Coree DMZ, che non è più esclusivamente una zona di espulsione umana ma è stata involontariamente riscoperta come una riserva della biosfera dello spessore di quattro chilometri per un'estensione di duecentocinquanta chilometri. Analogamente, una spessa rete di ecologie da condividere nella frontiera tra Stati Uniti e Messico è resa visibile, reclamata dalle comunità che la abitano e grazie agli strumenti del progetto viene esplorata attraverso scenari e immaginari trasformativi. In Europa, la mostra Unbuilding walls presentata alla Biennale Architettura di Venezia ha interrogato i progetti architettonici e urbani che sono sorti lungo il percorso dell'ex fascia confinaria a Berlino dopo la riunificazione della Germania. Questa rilettura ha esplorato le strategie e i dispositivi del progetto in grado di affrontare le tensioni spaziali tra separazione e connessione, tra la necessità del ricordare e l’urgenza del trasformare, tra la volontà di rinnovare e la questione del conservare, tra l’iconicità di visioni univoche e l’invisibilità di storie alternative. Ne è emersa una progettualità molteplice ed eterogenea che, offrendo una pluralità di approcci, tipologie e idee, contribuisce al processo spaziale di cura e guarigione. Il progetto di architettura, città e paesaggio opera in quel tempo intermedio e in quello spazio interstiziale tra il micro e il macro, tra specificità localizzate e geografie in divenire, tra l’urgenza del presente e la costruzione di futuro. Cogliendo la sfida simbolica di demolire il portato ideologico di quei muri, intesi come dispositivi dell'esclusione, del controllo e della segregazione, il progetto agisce quindi sulla spazialità dell'attraversamento, interrogando quei vuoti di significato e tracciandone le potenzialità trasformative, e sulle temporalità effimere e transitorie quanto su un orizzonte temporale ampio. Il progetto di rigenerazione, riqualificazione e riuso dell'ex enclave militare Francescatto di Cividale interroga queste misure dello spazio e del tempo e attraversandole offre uno sguardo dinamico per dare forma a una parte di città e per costruire un nuovo paesaggio nel tempo. Il progetto si muove a partire dalla demolizione incrementale di quel chilometro di muro per innescare le fasi di un processo di restituzione in grado di connettere gradualmente l'area dell'ex caserma al micro e macro contesto in cui si trova e alle comunità che lo abitano. Fase dopo fase, il progetto riscopre e attiva la genealogia dello spazio e del luogo, innestato a ridosso del sedime delle mura storiche e direttamente affacciato sul fiume Natisone. Infatti l’ex caserma – situata lungo l'asse del decumano – e il centro storico di Cividale si interfacciano alla stessa scala, e il progetto crea un dialogo tra le due “città” che finora si erano necessariamente ignorate. Il segno della matrice e la logica insediativa dei due assi del cardo e del decumano, agendo come un object trouvée, offre la chiave di lettura delle relazioni spaziali e la misura tra le preesistenze ambientali. Le strategie del progetto agiscono in maniera incrementale, stratificando nel tempo azioni di demolizione selettiva, di riconversione e riuso, di riciclo e di innesto puntuale sui manufatti edilizi e sulle superfici. Il processo di restituzione va quindi a convertire la superficie impermeabile dell'ex caserma in un parco pubblico dalla vocazione paesaggistica e culturale. Riflettendo sugli altri frammenti che compongono quello spessore della frontiera evocato in precedenza, è possibile osservare come il progetto di rigenerazione, riqualificazione e riuso dell'ex enclave militare Francescatto di Cividale offra, più che un modello, un’ipotesi di lavoro e una prospettiva per interrogare attraverso gli strumenti del progetto le complessità e le contraddizioni di un passato ancora materializzato nel presente, ma che è in grado di dare forma a un futuro alternativo, potenziale, possibile e preferibile, nel cuore dell'Europa.

Unwalling. Da enclave militare a spazio pubblico nel cuore dell'Europa

Valentina Rodani
2023-01-01

Abstract

Racchiusa nel suo recinto da circa un chilometro di muro perimetrale, la caserma Francescatto di Cividale nei suoi quasi sette ettari di estensione rappresenta solo uno tra i frammenti che nel tempo hanno stratificato lo spessore della frontiera. Caserme e casermette, ospedali, alloggi militari, depositi, polveriere, poligoni di tiro, osservatori, bunker, trincee, campi di volo, fortificazioni confinarie, città fortificate e non solo, rappresentano in una spazialità di forme e (dis)misure eterogenee la materializzazione del turbolento processo di confinamento della frontiera dinamica e mobile compresa tra l’arco orientale delle Alpi e l’Alto Adriatico. Nel loro insieme questi frammenti a scala variabile assemblano una topologia di muri ed enclaves che figura la “Fortezza Friuli Venezia Giulia” e una delle infrastrutture difensive più dense d’Europa. Questo paesaggio d’eccezione si trova paradossalmente al punto di intersezione tra le fondamentali vie di comunicazione Nord-Sud, tra Baltico e Adriatico, ed Ovest-Est, tra pianura padana e area danubiana, nel territorio transfrontaliero oggi condiviso tra Italia, Slovenia, Croazia e Austria. Pertanto il lento processo di smilitarizzazione, sdemanializzazione e risignificazione di questa geografia invisibile nel suo complesso, e dell’ex enclave militare della caserma Francescatto nello specifico, va necessariamente osservato da una prospettiva europea. Oggi infatti si guarda a quel limes non più nella sua accezione esclusiva di via militare e zona comprensiva delle fortificazioni che la circondano, ma recuperando il significato originale del termine, e cioè di via traversa, un percorso o via di contatto e collegamento. La visione dell’European Green Belt sembra suggerire questa prospettiva dinamica, non considerando più le architetture del potere e i paesaggi prodotti dall’ex cortina di ferro come una terra di nessuno o death strip. Infatti quello spessore variabile che si estende per più di dodicimila chilometri è letto oggi come uno spazio potenziale di vita e di libertà, come risorsa paesaggistica, come rete ecologica condivisa, come un bene e fine comune. Tale sequenza di paesaggi stratifica sia un archivio materiale e un paesaggio della memoria, che un laboratorio vivente di paesaggio europeo. Si tratta di processi in atto non solo in Europa, ma nel mondo intero. Come, ad esempio, nel caso della zona di demilitarizzazione tra le due Coree DMZ, che non è più esclusivamente una zona di espulsione umana ma è stata involontariamente riscoperta come una riserva della biosfera dello spessore di quattro chilometri per un'estensione di duecentocinquanta chilometri. Analogamente, una spessa rete di ecologie da condividere nella frontiera tra Stati Uniti e Messico è resa visibile, reclamata dalle comunità che la abitano e grazie agli strumenti del progetto viene esplorata attraverso scenari e immaginari trasformativi. In Europa, la mostra Unbuilding walls presentata alla Biennale Architettura di Venezia ha interrogato i progetti architettonici e urbani che sono sorti lungo il percorso dell'ex fascia confinaria a Berlino dopo la riunificazione della Germania. Questa rilettura ha esplorato le strategie e i dispositivi del progetto in grado di affrontare le tensioni spaziali tra separazione e connessione, tra la necessità del ricordare e l’urgenza del trasformare, tra la volontà di rinnovare e la questione del conservare, tra l’iconicità di visioni univoche e l’invisibilità di storie alternative. Ne è emersa una progettualità molteplice ed eterogenea che, offrendo una pluralità di approcci, tipologie e idee, contribuisce al processo spaziale di cura e guarigione. Il progetto di architettura, città e paesaggio opera in quel tempo intermedio e in quello spazio interstiziale tra il micro e il macro, tra specificità localizzate e geografie in divenire, tra l’urgenza del presente e la costruzione di futuro. Cogliendo la sfida simbolica di demolire il portato ideologico di quei muri, intesi come dispositivi dell'esclusione, del controllo e della segregazione, il progetto agisce quindi sulla spazialità dell'attraversamento, interrogando quei vuoti di significato e tracciandone le potenzialità trasformative, e sulle temporalità effimere e transitorie quanto su un orizzonte temporale ampio. Il progetto di rigenerazione, riqualificazione e riuso dell'ex enclave militare Francescatto di Cividale interroga queste misure dello spazio e del tempo e attraversandole offre uno sguardo dinamico per dare forma a una parte di città e per costruire un nuovo paesaggio nel tempo. Il progetto si muove a partire dalla demolizione incrementale di quel chilometro di muro per innescare le fasi di un processo di restituzione in grado di connettere gradualmente l'area dell'ex caserma al micro e macro contesto in cui si trova e alle comunità che lo abitano. Fase dopo fase, il progetto riscopre e attiva la genealogia dello spazio e del luogo, innestato a ridosso del sedime delle mura storiche e direttamente affacciato sul fiume Natisone. Infatti l’ex caserma – situata lungo l'asse del decumano – e il centro storico di Cividale si interfacciano alla stessa scala, e il progetto crea un dialogo tra le due “città” che finora si erano necessariamente ignorate. Il segno della matrice e la logica insediativa dei due assi del cardo e del decumano, agendo come un object trouvée, offre la chiave di lettura delle relazioni spaziali e la misura tra le preesistenze ambientali. Le strategie del progetto agiscono in maniera incrementale, stratificando nel tempo azioni di demolizione selettiva, di riconversione e riuso, di riciclo e di innesto puntuale sui manufatti edilizi e sulle superfici. Il processo di restituzione va quindi a convertire la superficie impermeabile dell'ex caserma in un parco pubblico dalla vocazione paesaggistica e culturale. Riflettendo sugli altri frammenti che compongono quello spessore della frontiera evocato in precedenza, è possibile osservare come il progetto di rigenerazione, riqualificazione e riuso dell'ex enclave militare Francescatto di Cividale offra, più che un modello, un’ipotesi di lavoro e una prospettiva per interrogare attraverso gli strumenti del progetto le complessità e le contraddizioni di un passato ancora materializzato nel presente, ma che è in grado di dare forma a un futuro alternativo, potenziale, possibile e preferibile, nel cuore dell'Europa.
2023
978-88-5511-456-1
978-88-5511-457-8
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