In una prospettiva di criminologia storica, l'Autore ricostruisce le modalità di valutazione della testimonianza nella prassi del processo penale tipica dell'Età Moderna, dal XVI al XVIII secolo, nel periodo precedente alla nascita della psicologia giudiziaria. Il contributo evidenzia come i giudici di età rinascimentale e barocca – nel corso dell’indagine e nel giudizio – potessero avvalersi non solo di regole giuridiche, filosofiche e religiose, ma anche di nozioni tratte da saperi utilizzati come “scienze ausiliarie” forensi: l’astrologia giudiziaria e, soprattutto, la metoposcopia e la fisiognomonia. La metoposcopia pretendeva di interpretare caratteristiche, inclinazioni e tendenze nascoste di un'individuo tramite la lettura delle linee e di altri segni presenti sulla fronte; la fisiognomica, per lo stesso scopo, analizzava i tratti del volto e della corporatura, (“sillogismo fisionomico”) Nella visione culturale dell'epoca, metoposcopia e fisionomica non erano considerate arti divinatorie, ma parte della Filosofia Naturale (le odierne scienze naturali) e di conseguenza tollerate dall’ortodossia religiosa. Anche il comune ricorso alla tortura era considerato uno strumento tecnico minuziosamente disciplinato e validissimo per l’analisi della testimonianza, una vera e propria strategia di pressione psicologica calibrata sulla qualità del testimone e sulla natura dell'indagine. L'autore analizza un caso esemplare avvenuto nella prima metà del Settecento, come modello di interrogatorio con tortura di un teste che si contraddice, La sua ipotesi è che in alcuni casi la tortura potesse costituire una tecnica psicosomatica per stimolare la memoria del testimone, mediante la somministrazione controllata del dolore fisico. Secondo l'Autore, l'analisi obiettiva delle fonti storiche evidenzia come gli antichi apparati di giustizia criminale avevano elaborato un proprio bagaglio di nozioni protocriminologiche e di psicologia forense non privo di intuizioni e anticipazioni, più tardi riprese dalla criminologia positivista.

La valutazione della testiomanianza prima della psicologia giudiziaria. Il ruolo delle parascienze forensi e della tortura nella praxis criminalis dell'età moderna

MARTUCCI, PIERPAOLO
2010-01-01

Abstract

In una prospettiva di criminologia storica, l'Autore ricostruisce le modalità di valutazione della testimonianza nella prassi del processo penale tipica dell'Età Moderna, dal XVI al XVIII secolo, nel periodo precedente alla nascita della psicologia giudiziaria. Il contributo evidenzia come i giudici di età rinascimentale e barocca – nel corso dell’indagine e nel giudizio – potessero avvalersi non solo di regole giuridiche, filosofiche e religiose, ma anche di nozioni tratte da saperi utilizzati come “scienze ausiliarie” forensi: l’astrologia giudiziaria e, soprattutto, la metoposcopia e la fisiognomonia. La metoposcopia pretendeva di interpretare caratteristiche, inclinazioni e tendenze nascoste di un'individuo tramite la lettura delle linee e di altri segni presenti sulla fronte; la fisiognomica, per lo stesso scopo, analizzava i tratti del volto e della corporatura, (“sillogismo fisionomico”) Nella visione culturale dell'epoca, metoposcopia e fisionomica non erano considerate arti divinatorie, ma parte della Filosofia Naturale (le odierne scienze naturali) e di conseguenza tollerate dall’ortodossia religiosa. Anche il comune ricorso alla tortura era considerato uno strumento tecnico minuziosamente disciplinato e validissimo per l’analisi della testimonianza, una vera e propria strategia di pressione psicologica calibrata sulla qualità del testimone e sulla natura dell'indagine. L'autore analizza un caso esemplare avvenuto nella prima metà del Settecento, come modello di interrogatorio con tortura di un teste che si contraddice, La sua ipotesi è che in alcuni casi la tortura potesse costituire una tecnica psicosomatica per stimolare la memoria del testimone, mediante la somministrazione controllata del dolore fisico. Secondo l'Autore, l'analisi obiettiva delle fonti storiche evidenzia come gli antichi apparati di giustizia criminale avevano elaborato un proprio bagaglio di nozioni protocriminologiche e di psicologia forense non privo di intuizioni e anticipazioni, più tardi riprese dalla criminologia positivista.
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