Le discriminazioni alla rovescia rappresentano un fenomeno complesso determinato dalla sovrapposizione delle sfere di competenza affidate, rispettivamente, all’Unione e agli Stati membri. Con l’espressione “discriminazione alla rovescia” viene infatti indicato il fenomeno consistente in una situazione di svantaggio, subìto dai soggetti che si trovano in una “situazione interna”. Tale svantaggio deriva dalla mancata applicazione a questi soggetti delle norme comunitarie che garantiscono le libertà di circolazione. Sono dette “alla rovescia”, in quanto ad essere discriminata è una categoria di soggetti (gli operatori interni) normalmente privilegiata nell’ambito degli ordinamenti nazionali. La giurisprudenza tradizionale della Corte di giustizia negava una qualsiasi rilevanza comunitaria a questo tipo di situazioni. La loro eventuale rimozione era quindi rimessa ai singoli ordinamenti nazionali, tramite i diversi strumenti da questi predisposti. La sentenza Lussemburgo/Parlamento europeo e Consiglio del 2000 ha introdotto una soluzione innovativa che riguarda specificamente le situazioni di discriminazione alla rovescia derivanti da fonti comunitarie di diritto derivato (nel caso di specie, era messa in discussione la validità della direttiva 98/5 volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica). Per questi casi specifici, la Corte di giustizia prospetta la possibilità di un sindacato diretto a verificare se la normativa comunitaria, che a livello nazionale crea la disparità di trattamento, sia contraria al principio generale di eguaglianza. In altri termini, secondo tale pronuncia, la Corte potrebbe valutare se l’atto comunitario introduce, per situazioni analoghe, un diverso trattamento ingiustificato, o comunque sproporzionato, rispetto all’obiettivo perseguito di favorire la libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Il principio comunitario di eguaglianza potrebbe quindi essere applicato per sindacare questo tipo di discriminazioni.

Accesso alla professione forense e discriminazioni “alla rovescia” nella sentenza Lussemburgo c. Parlamento europeo e Consiglio

SPITALERI, FABIO
2001-01-01

Abstract

Le discriminazioni alla rovescia rappresentano un fenomeno complesso determinato dalla sovrapposizione delle sfere di competenza affidate, rispettivamente, all’Unione e agli Stati membri. Con l’espressione “discriminazione alla rovescia” viene infatti indicato il fenomeno consistente in una situazione di svantaggio, subìto dai soggetti che si trovano in una “situazione interna”. Tale svantaggio deriva dalla mancata applicazione a questi soggetti delle norme comunitarie che garantiscono le libertà di circolazione. Sono dette “alla rovescia”, in quanto ad essere discriminata è una categoria di soggetti (gli operatori interni) normalmente privilegiata nell’ambito degli ordinamenti nazionali. La giurisprudenza tradizionale della Corte di giustizia negava una qualsiasi rilevanza comunitaria a questo tipo di situazioni. La loro eventuale rimozione era quindi rimessa ai singoli ordinamenti nazionali, tramite i diversi strumenti da questi predisposti. La sentenza Lussemburgo/Parlamento europeo e Consiglio del 2000 ha introdotto una soluzione innovativa che riguarda specificamente le situazioni di discriminazione alla rovescia derivanti da fonti comunitarie di diritto derivato (nel caso di specie, era messa in discussione la validità della direttiva 98/5 volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica). Per questi casi specifici, la Corte di giustizia prospetta la possibilità di un sindacato diretto a verificare se la normativa comunitaria, che a livello nazionale crea la disparità di trattamento, sia contraria al principio generale di eguaglianza. In altri termini, secondo tale pronuncia, la Corte potrebbe valutare se l’atto comunitario introduce, per situazioni analoghe, un diverso trattamento ingiustificato, o comunque sproporzionato, rispetto all’obiettivo perseguito di favorire la libera circolazione dei cittadini dell’Unione. Il principio comunitario di eguaglianza potrebbe quindi essere applicato per sindacare questo tipo di discriminazioni.
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