In conseguenza dell’esito della Seconda Guerra Mondiale, Gorizia venne notoriamente lacerata dalla comparsa del revisionato confine politico tra l’Italia e la Jugoslavia, che separò la città dalla maggior parte della sua regione complementare e, persino, da una consistente porzione della sua periferia, ove, successivamente, si sarebbe sviluppato e giustapposto un nuovo organismo urbano contermine. Tale demarcazione incise profondamente, anche per la sua pregnante valenza simbolica, sul vissuto delle popolazioni e sull’equilibrio originario dell’assetto territoriale, poiché rappresentò per decenni un limite – almeno apparentemente – netto tra l’Est e l’Ovest dell’Europa. Con il Trattato di Osimo il confine politico iniziò a perdere progressivamente la sua singolare forma di impermeabilità, consentendo una più accettabile convivenza proprio in corrispondenza dell’area frontaliera, che è andata consolidandosi quando la Slovenia subentrò all’ex- Jugoslavia. L’ulteriore defunzionalizzazione del confine, in conseguenza degli Accordi di Schengen, consente ora di esplorare minuziosamente la complessa peculiarità geografica di una fascia confinaria sovrimposta ad un ambiente urbano, sviscerando, tra l’altro, una serie di originali tipologie confinarie oltre a veri e propri paradossi. Il fenomeno induce, altresì, l’innesco di significativi processi di riorganizzazione e di riequilibrio socio-territoriale transconfinario dell’edificio urbano, di indubbio interesse geografico. Un’accurata indagine dell’assetto del borderland – svolta innanzitutto in termini indiretti con il ricorso all’analisi comparativa delle cartografie pubblicate dai Paesi confinanti ed integrata da dettagliate operazioni di rilevamento – può opportunamente sfociare nell’elaborazione di agili modelli interpretativi che consentano di riconoscere speditivamente, anche in termini processuali evoluzionari, i caratteri essenziali del sistema territoriale in esame.

La declinazione urbana dei concetti di confine e frontiera. Il caso di Gorizia

GIURCO, GIOVANNI
2011-01-01

Abstract

In conseguenza dell’esito della Seconda Guerra Mondiale, Gorizia venne notoriamente lacerata dalla comparsa del revisionato confine politico tra l’Italia e la Jugoslavia, che separò la città dalla maggior parte della sua regione complementare e, persino, da una consistente porzione della sua periferia, ove, successivamente, si sarebbe sviluppato e giustapposto un nuovo organismo urbano contermine. Tale demarcazione incise profondamente, anche per la sua pregnante valenza simbolica, sul vissuto delle popolazioni e sull’equilibrio originario dell’assetto territoriale, poiché rappresentò per decenni un limite – almeno apparentemente – netto tra l’Est e l’Ovest dell’Europa. Con il Trattato di Osimo il confine politico iniziò a perdere progressivamente la sua singolare forma di impermeabilità, consentendo una più accettabile convivenza proprio in corrispondenza dell’area frontaliera, che è andata consolidandosi quando la Slovenia subentrò all’ex- Jugoslavia. L’ulteriore defunzionalizzazione del confine, in conseguenza degli Accordi di Schengen, consente ora di esplorare minuziosamente la complessa peculiarità geografica di una fascia confinaria sovrimposta ad un ambiente urbano, sviscerando, tra l’altro, una serie di originali tipologie confinarie oltre a veri e propri paradossi. Il fenomeno induce, altresì, l’innesco di significativi processi di riorganizzazione e di riequilibrio socio-territoriale transconfinario dell’edificio urbano, di indubbio interesse geografico. Un’accurata indagine dell’assetto del borderland – svolta innanzitutto in termini indiretti con il ricorso all’analisi comparativa delle cartografie pubblicate dai Paesi confinanti ed integrata da dettagliate operazioni di rilevamento – può opportunamente sfociare nell’elaborazione di agili modelli interpretativi che consentano di riconoscere speditivamente, anche in termini processuali evoluzionari, i caratteri essenziali del sistema territoriale in esame.
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