Sin dalle sue origini, Trieste è luogo d'incontro (e scontro) di tre grandi civiltà europee: latina (romanza, italiana), tedesca e slava. La città nel golfo di Boris Pahor rappresenta dunque un osservatorio particolarmente privilegiato e sensibile per l'analisi dei rapporti culturali e letterari tra Italia e Slavia, ma soprattutto tra italiani e sloveni. L'articolo approfondisce un segmento specifico di quest'interazione letteraria: l'immagine dell'alterità slava e slovena estrinsecata dalla letteratura triestina di lingua italiana nel cruciale periodo tra XIX e XX secolo in cui si sono storicamente sostanziate e affermate anche le soggettività nazionali italiana e slovena. L'analisi, fondata sui presupposti teorici della moderna indagine imagologica sui negativi cliché dell'Altro, sulle ostili rappresentazioni dell'alterità nazionale, linguistica o culturale, prende in esame gli “eterostereotipi” dello sloveno nella scrittura letteraria italiana dei principali narratori, poeti o saggisti triestini dell'epoca: dai predecessori Alberto Fortis o Niccolò Tommaseo, ad autori, quali Lorenzo Miniussi, Scipio Slataper, Giglio Padovan, Ruggero Timeus Fauro, Italo Svevo, Umberto Saba, Guido Voghera, Pier Antonio Quarantotti Gambini o Giani Stuparich. Da tale moltitudine di rappresentazioni letterarie dell'alterità slava è possibile desumere tre unificanti percezioni del vicino, tre principali stereotipi antislavi che predominano nelle opere degli autori triestini italiani nel periodo tra XIX e XX secolo: il buon selvaggio, il barbaro distruttore, l'ectoplasma.

Da "buon selvaggio" a ectoplasma: eterostereotipi antislavi nella letteratura triestina italiana tra Otto e Novecento

KOSUTA, MIRAN
2014-01-01

Abstract

Sin dalle sue origini, Trieste è luogo d'incontro (e scontro) di tre grandi civiltà europee: latina (romanza, italiana), tedesca e slava. La città nel golfo di Boris Pahor rappresenta dunque un osservatorio particolarmente privilegiato e sensibile per l'analisi dei rapporti culturali e letterari tra Italia e Slavia, ma soprattutto tra italiani e sloveni. L'articolo approfondisce un segmento specifico di quest'interazione letteraria: l'immagine dell'alterità slava e slovena estrinsecata dalla letteratura triestina di lingua italiana nel cruciale periodo tra XIX e XX secolo in cui si sono storicamente sostanziate e affermate anche le soggettività nazionali italiana e slovena. L'analisi, fondata sui presupposti teorici della moderna indagine imagologica sui negativi cliché dell'Altro, sulle ostili rappresentazioni dell'alterità nazionale, linguistica o culturale, prende in esame gli “eterostereotipi” dello sloveno nella scrittura letteraria italiana dei principali narratori, poeti o saggisti triestini dell'epoca: dai predecessori Alberto Fortis o Niccolò Tommaseo, ad autori, quali Lorenzo Miniussi, Scipio Slataper, Giglio Padovan, Ruggero Timeus Fauro, Italo Svevo, Umberto Saba, Guido Voghera, Pier Antonio Quarantotti Gambini o Giani Stuparich. Da tale moltitudine di rappresentazioni letterarie dell'alterità slava è possibile desumere tre unificanti percezioni del vicino, tre principali stereotipi antislavi che predominano nelle opere degli autori triestini italiani nel periodo tra XIX e XX secolo: il buon selvaggio, il barbaro distruttore, l'ectoplasma.
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