Fin dal primo secondo dopoguerra ha preso sostanza, tanto in ambito accademico quanto nel dibattito pubblico, un nutrito discorso sulla Resistenza. Discorso, questo, che si è alimentato e ha dato vita a tante rappresentazioni legate alla lotta partigiana semanticamente anche molto distanti tra loro. In particolare durante gli anni settanta si è assistito ad una decisa riattualizzazione della discussione, che ha preso la forma di una vera e propria contesa sulle forme della legittimazione dei discorsi sulla Resistenza, monopolio conteso tra il partito comunista italiano e la sinistra extraparlamentare che era andata formandosi alla sua sinistra a partire dall’esplosione delle lotte studentesche nel ’68. Da ciò ne sono scaturiti differenti paradigmi identitari, le cui radici sono ravvisabili in due contrapposte interpretazioni della Resistenza: da una parte, una Resistenza ‘democratica’ e ‘interclassista’, che riprendeva la rilettura già a suo tempo fatta da Togliatti nell’ottica del ‘partito nuovo’ e che ora trovava una nuova dimensione nell’idea berlingueriana del compromesso storico; dall’altra una Resistenza ‘rivoluzionaria’ e ‘classista’, che aveva da sempre trovato interlocutori tra quegli ex-partigiani e tra quelle frange del Pci che più erano rimaste legate all’idea insurrezionale del ‘fare come in Russia’ e che ora veniva fatta propria da molta parte della protesta studentesca. Questo lavoro si propone di mostrare come questo dibattito celasse in realtà il problema ben più cogente della conquista del diritto ad esistere ed esercitare da parte di queste due diverse espressioni della sinistra italiana, le cui poste in gioco erano piuttosto la conferma o l’appropriazione della legittimità del monopolio ideologico sul movimento dei lavoratori in un momento, com’è stato quello degli anni settanta, di importanti difficoltà nella gestione pubblica del potere sociale e politico.
Una ‘guerra semantica’. La Resistenza tra partito comunista italiano e Lotta continua: un approccio storico-linguistico (1970-1975)
BASSI, GIULIA
2014-01-01
Abstract
Fin dal primo secondo dopoguerra ha preso sostanza, tanto in ambito accademico quanto nel dibattito pubblico, un nutrito discorso sulla Resistenza. Discorso, questo, che si è alimentato e ha dato vita a tante rappresentazioni legate alla lotta partigiana semanticamente anche molto distanti tra loro. In particolare durante gli anni settanta si è assistito ad una decisa riattualizzazione della discussione, che ha preso la forma di una vera e propria contesa sulle forme della legittimazione dei discorsi sulla Resistenza, monopolio conteso tra il partito comunista italiano e la sinistra extraparlamentare che era andata formandosi alla sua sinistra a partire dall’esplosione delle lotte studentesche nel ’68. Da ciò ne sono scaturiti differenti paradigmi identitari, le cui radici sono ravvisabili in due contrapposte interpretazioni della Resistenza: da una parte, una Resistenza ‘democratica’ e ‘interclassista’, che riprendeva la rilettura già a suo tempo fatta da Togliatti nell’ottica del ‘partito nuovo’ e che ora trovava una nuova dimensione nell’idea berlingueriana del compromesso storico; dall’altra una Resistenza ‘rivoluzionaria’ e ‘classista’, che aveva da sempre trovato interlocutori tra quegli ex-partigiani e tra quelle frange del Pci che più erano rimaste legate all’idea insurrezionale del ‘fare come in Russia’ e che ora veniva fatta propria da molta parte della protesta studentesca. Questo lavoro si propone di mostrare come questo dibattito celasse in realtà il problema ben più cogente della conquista del diritto ad esistere ed esercitare da parte di queste due diverse espressioni della sinistra italiana, le cui poste in gioco erano piuttosto la conferma o l’appropriazione della legittimità del monopolio ideologico sul movimento dei lavoratori in un momento, com’è stato quello degli anni settanta, di importanti difficoltà nella gestione pubblica del potere sociale e politico.Pubblicazioni consigliate
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