A partire dall’89, la quarta ondata di democratizzazioni si è spesso accompagnata a rilevanti proteste popolari a favore di una qualche forma di mutamento politico. Ciò è avvenuto in alcuni paesi dell’est Europa (come la Georgia e l’Ucraina) con le rivoluzioni “colorate” dei primi anni 2000, e nella Primavera araba, che è iniziata in Tunisia ed Egitto e si è poi (negli anni ‘10) diffusa a diversi stati del nord Africa e Medio oriente. Altre proteste si sono verificate nel 2018-19 in Armenia, Sudan e Bolivia. Le proteste hanno avuto successo in regimi ibridi o in governi autoritari poco repressivi, dando luogo a dei mutamenti di governo (con un ricambio di leadership) e/o di regime (democratico, ibrido o autoritario). A volte, vi sono stati cambiamenti solo nel breve periodo, che sono sfociati o in “ritorni al passato”, o in colpi di stato, o addirittura in conflitti armati. In altri casi (come l’Iran e il Venezuela), le richieste di mutamento sono fallite. Way aveva collegato il successo di tali proteste a tre caratteristiche dei governi: la scarsa istituzionalizzazione dei partiti (o delle organizzazioni) al potere, la loro ideologia poco articolata, e il limitato controllo delle forze di sicurezza. L’analisi comparata dei casi citati mostra che le proteste non possono portare alla democrazia, se c’è l’influenza della “autocracy promotion”. Infatti, ci sono state forti interferenze esterne: in est Europa da parte della Russia (con il sostegno dei propri alleati nei conflitti in Georgia, Ucraina ed Armenia); in nord Africa (Egitto e Sudan) da parte di alcuni regimi autoritari, come l’Arabia Saudita o lo stesso Egitto (nel secondo caso); in Bolivia da parte del Venezuela. La Tunisia è rimasta immune da tali interferenze ed è quindi l’unico caso in cui le proteste hanno portato ad una transizione democratica.
Popular protests and political change in Latin America, Eastern Europe, North Africa and the Middle East since 2000
Fossati, Fabio;
2020-01-01
Abstract
A partire dall’89, la quarta ondata di democratizzazioni si è spesso accompagnata a rilevanti proteste popolari a favore di una qualche forma di mutamento politico. Ciò è avvenuto in alcuni paesi dell’est Europa (come la Georgia e l’Ucraina) con le rivoluzioni “colorate” dei primi anni 2000, e nella Primavera araba, che è iniziata in Tunisia ed Egitto e si è poi (negli anni ‘10) diffusa a diversi stati del nord Africa e Medio oriente. Altre proteste si sono verificate nel 2018-19 in Armenia, Sudan e Bolivia. Le proteste hanno avuto successo in regimi ibridi o in governi autoritari poco repressivi, dando luogo a dei mutamenti di governo (con un ricambio di leadership) e/o di regime (democratico, ibrido o autoritario). A volte, vi sono stati cambiamenti solo nel breve periodo, che sono sfociati o in “ritorni al passato”, o in colpi di stato, o addirittura in conflitti armati. In altri casi (come l’Iran e il Venezuela), le richieste di mutamento sono fallite. Way aveva collegato il successo di tali proteste a tre caratteristiche dei governi: la scarsa istituzionalizzazione dei partiti (o delle organizzazioni) al potere, la loro ideologia poco articolata, e il limitato controllo delle forze di sicurezza. L’analisi comparata dei casi citati mostra che le proteste non possono portare alla democrazia, se c’è l’influenza della “autocracy promotion”. Infatti, ci sono state forti interferenze esterne: in est Europa da parte della Russia (con il sostegno dei propri alleati nei conflitti in Georgia, Ucraina ed Armenia); in nord Africa (Egitto e Sudan) da parte di alcuni regimi autoritari, come l’Arabia Saudita o lo stesso Egitto (nel secondo caso); in Bolivia da parte del Venezuela. La Tunisia è rimasta immune da tali interferenze ed è quindi l’unico caso in cui le proteste hanno portato ad una transizione democratica.File | Dimensione | Formato | |
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